C’è capitato tempo fa, all’inizio degli anni duemila, di conoscere e frequentare Marcello Fonte, l’autore di Notti stellate che allora era Marcellino, e basta, il suo cognome l’abbiamo imparato da poco. Marcellino, però, a dispetto del diminutivo, era un grande: per la sua dignitosa, creativa e tenace guerra di resistenza nella trincea di Roma, dove sopravviveva – come ricorda nel capitolo finale del suo libro – occupando abusivamente una cantina, che era per lui casa e anche privatissimo set, con le pareti tappezzate di frasi e poster di film e divi vari, tipo Di Caprio in Gangs of New York, e specchi e costumi per truccarsi e provare un po’ di pose. La mattina, poi, il bagno era quello del bar con la scusa del caffè e dopo, alla casa dello studente, bucato e doccia intanto che asciugavano i panni.

Marcellino, quindi, l’abbiamo rivisto a cinema, protagonista di Dogman di Matteo Garrone: non più grande ma immenso, per statura artistica, in quel film candidato agli Oscar che ricostruisce l’efferato omicidio degli anni ottanta noto alle cronache come il delitto del Canaro della Magliana, il quartiere di Roma sud della famosa banda.

  • Ora, in Notti stellate, Marcello Fonte racconta il primo tempo della sua incredibile storia che in tanti abbiamo già conosciuto a spanne leggendo le interviste rilasciate dopo la vittoria della Palma d’oro al Festival di Cannes come migliore attore protagonista. Notti stellate è, dunque, il racconto in prima persona, nella compiutezza della sua quotidianità, dell’infanzia faticosa e felice dell’attore e autore con mamma Rosa, papà Peppino e la famiglia extralarge di sette figli più la nonna in una casa di lamiere nei pressi della «fiumara» o discarica nel quartiere Marrani del paesino d’origine in provincia di Reggio Calabria.

La «fiumara» o discarica per Marcellino è una palestra di vita, è la sua stanza dei giochi, è il mondo. Lì egli cerca e trova di tutto, intanto il piacere dell’avventura, e poi i più svariati oggetti, il più delle volte da riparare per restituirli all’uso, originario o nuovo che sia. Marcellino che rovista fra i rifiuti della «fiumara» è pura poesia come Astolfo in missione sulla luna o Marcovaldo smarrito e incantato dalla città. La scuola, invece, è una prigione: meglio l’ospedale, dove non ci sono i bulli e l’insegnante cerbero ma il tumultuoso, chiassoso affetto della famiglia.

Notti stellate è una testimonianza di vita che nelle nostre vite ordinate e ordinarie porta «un poco di scompiglio, di allegria, di imprevisto», anche linguistico. Efficace e brioso il superamento in corsa nelle subordinate di congiuntivo e condizionale: «Aveva paura che facevamo un incidente… Ah, se me la davano a me una casa là!… fino quando non diceva che si cacciava il vizio della mano sul naso…». Calibrati e vigorosi gli energizzanti dialettali come «muccaturi… serbaggia… si latriavano… santiava… se non ce la faccio abbandugnu… mi ridevano le mussa».

Notti stellate un nuovo capitolo dell’epica umile e solare di quel meglio Sud che sa sconfiggere la miseria con la bellezza dei propri sogni.

Marcello Fonte, Notti stellate, Einaudi, 2018