È ufficiale: la lotta di classe, che nel Sessantotto era ancora fondamentalmente fra borghesia e proletariato, oggi è tra ragazzi e adulti. Cuorebomba di Dario Levantino, pag. 115: «È troppo. La misura è colma. Non sono più disposto a farmi offendere dal primo cretino incravattato… questo mondo di adulti che non ha il coraggio di ammazzarmi, ma che vuole che io viva da morto, non lo tollero più». Già prima, pag. 100: «La rivolta è giusta. Sopportare è sbagliato». Infine l’ormai classico: «Se non ora quando». E parte la rivolta: un’occupazione scolastica, del miglior liceo di Palermo, guidata da Rosario, ragazzo difficile del quartiere malfamato di Brancaccio, madre in casa di cura per depressione e anoressia, lui affidato a un’altra famiglia da giudice minorile e servizi sociali. Sono i Vespri siciliani, contro la scuola di classe, le ingiustizie sociali, in nome della solidarietà.

  • Un romanzo non proclama verità, non teorizza, racconta vicende particolari ma certe storie individuali per qualità di scrittura hanno valore universale. Chi le legge le sente sue, a prescindere. Rosario ha questa forza. Dice a Cosimo, insieme a Mimma suoi fratelli di fatto e di sventura nella casa famiglia: «Siamo dei cani di periferia, noi divoriamo tutto: sogni e spazzatura. Alla gente questo fa paura». E cioè: scuote le coscienze, che è appunto il compito dell’arte. Poi tutto passa, nelle piazze, nella vita, nelle pagine ma, se l’eroe di turno è sconfitto e resta solo con i suoi valori («Ama il prossimo tuo come te stesso») che in teoria sono anche nostri, noi ancor di più dovremmo soffrirne e interrogarci.

Rosario è già stato protagonista del precedente romanzo di Dario Levantino, Di niente e di nessuno, che ha vinto la quarta edizione del premio letterario per l’editoria indipendente Leggo Quindi Sono (Foggia). Cuorebomba è il seguito.  Chi ha letto il primo libro già conosce le vicissitudini familiari di Rosario: il tradimento del padre, la resa della madre, l’inaudita scoperta di una vita segreta del proprio genitore. E sa anche degli anticorpi affettivi di Rosario: il legame viscerale con il quartiere, l’attaccamento fraterno al cane Jonathan, il rifugio sottocoperta della barca spiaggiata, la struggente dolcezza dell’amore assoluto per Anna. E poi ancora: i miti fondanti di Gesù, Giordano Bruno e Pagliuca e il ricordo indelebile del nonno, dal quale ha ereditato nome, passione per il calcio e talento di portiere.

Infine, ma prima di tutto, chi ha letto Di niente e di nessuno sa che a sostenere Rosario è la sua lucida, folle, appassionata dedizione alla madre che si carica sulle spalle come Enea il padre e alla quale, dopo calibrate indicazioni su pronuncia e significato, dedica queste parole degne della tradizione lirica della scuola poetica siciliana: «Me matri è beddha comu ‘na rrosa picchì è ‘u me ciatu, picchì adduma i iuinnati nivure» (Mia madre è bella come una rosa perché è il mio respiro, perché accende le giornate nere).

Dentro questo magma incandescente di vita, che incrocia anche la peggiore criminalità di Brancaccio, c’è l’eco di tanta bella epica (Dario Levantino, siciliano, è docente di Lettere in un liceo di Monza), di Oliver Twist, di Truffaut (I quattrocento colpi), del miglior De Carlo (Due di due) ed esilaranti sferzate umoristiche a stemperare la forte espressività linguistica della narrazione.

Nulla accade mai per caso nel mondo assolutamente arbitrario della letteratura. Dice Rosario: «E per questo gli sarei stato grato per tutta la vita, perché mi aveva mostrato tutto ciò che non dovevo essere, mi aveva fatto vedere un modo di crescere che avevo subito rifiutato. Grazie papà, mi hai insegnato che a essere cattivi si muore dentro». E non è questo che rimbomba in tanti cori oggi nelle piazze? Cuorebomba è lo squillo di tromba di una generazione in rivolta che ha capito «che il tempo per amare è poco». Così almeno a noi piace pensare. O, meglio, sognare.

Dario Levantino, Cuorebomba, Fazi, 2019

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