Ognuno appartiene al luogo che ama. I protagonisti del nuovo romanzo di Paolo Cognetti, Le otto montagne, la montagna l’hanno nel sangue: Bruno ci è nato, per Pietro è eredità familiare. Subito dopo il matrimonio in giacca a vento ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo, insieme al figlio nel grembo materno e al contratto d’assunzione del padre come chimico in una grande fabbrica, un sabato di ottobre del ’72, i genitori di Pietro si portarono dalle Dolomiti a Milano la montagna nel cuore. E quando «in certi rari giorni di vento, in autunno o in primavera, in fondo ai viali di Milano comparivano le montagne, dopo una curva, sopra un cavalcavia, all’improvviso, senza bisogno che uno le indicasse all’altra i loro occhi correvano lì».

Lì è il Monte Rosa, e lì la famiglia andrà per le vacanze estive, ogni anno in un posto diverso finché nel luglio dell’’84 grazie alla volontà stanziale e a una ricerca della madre scopriranno il paese di Grana. Appartato rispetto al traffico turistico, in un ampio vallone nascosto da una rupe, Grana sarà per tutti e tre un amore a prima vista. A conquistare Pietro è il torrente per la suggestione delle tante avventure romanzesche che esso gli ricorda e ispira. Per il padre Grana è la base ideale per innumerevoli scalate fino alle alte quote dei tremila, dove il cammino cede il passo all’arrampicata. Il paese, però, riserverà a tutti la sorpresa imprevista della conoscenza di Bruno, coetaneo di Pietro e dapprima solo suo amico (per induzione materna) poi, di fatto, un membro aggiunto della famiglia.

Dice Cognetti: «Si può dire che abbia cominciato a scrivere questa storia quand’ero bambino, perché è una storia che mi appartiene quanto mi appartengono i miei stessi ricordi. In questi anni, quando mi chiedevano di cosa parla, rispondevo sempre: di due amici e una montagna». E conclude: «Sì, parla proprio di questo». Senz’altro è così, Otto montagne, infatti, racconta due vite che si legano indissolubilmente nell’adolescenza e che resteranno unite fino all’età matura nonostante le diverse vicende di ciascuna di esse. Otto montagne, però, non è solo questo. Nella sua dichiarata semplicità il romanzo racchiude una stupefacente complessità.

In certi momenti, per esempio, è come se fosse la montagna che parlasse. Cognetti e il Monte Rosa sono due voci in una, con moltiplicazione esponenziale di potenza narrativa. La madre e il padre di Pietro sono anch’essi centrali nella storia, altrettanto memorabili quanto i due amici ed è la montagna che racconta la personalità di ciascuno dei due e il rapporto fra loro. Basta una pagina, la prima.

Entrambi i genitori amano la montagna, ma a quote diverse. La madre ha terrore dei ghiacciai, non va oltre i duemila, indulge volentieri ai mille, al piacere dei prati, dei piedi in un torrente, delle erbe, dei fiori. Il padre attacca le cime come in gara con qualcuno, senza dosare le forze, sempre per la massima pendenza fino alla vetta. Come in fabbrica così in montagna: sempre in rissa con il mondo e la moglie ad attutirne i colpi con la sua solare socialità. In alto fino al massimo possibile con i soli piedi per il padre è conquistare quel punto dal quale almeno per un attimo tutto il resto è piccolo: i padroni, gli eserciti, i preti, i capi reparto.

La montagna nel romanzo di Cognetti è un modo nuovo di guardare la vita e raccontarla che regala a chi lo legge alcune immagini indelebili come l’epica dissolvenza finale.

 

Paolo Cognetti, Le otto montagne, Einaudi, 2016