Mezzogiorno di fuoco Nella perfida terra di Dio fra Brindisi e Taranto! Mancava da un po’, Omar Di Monopoli, ma è tornato ad arroventare il cielo narrativo di Puglia con la sua lingua bastarda, impastata di letterarietà e dialetto, senza mediazione discorsiva alcuna fra un estremo e l’altro e tante, invece, torsioni e forzature espressive di fresco conio. È tornato, Omar Di Monopoli, con la sua schiera di brutti, sporchi e cattivi condannati per forza di cose alla violenza. Ultimo romanzo, La legge di Fonzi, 2010, poi i racconti di Aspettati l’inferno, 2014: sempre con ISBN, casa editrice milanese fallita l’anno successivo. Omar Di Monopoli, quindi, è tornato in libreria con Adelphi, sacrario letterario quasi inaccessibile ai narratori italiani. Non a caso pochissimi in quel catalogo, in cui il quarantacinquenne autore pugliese di Manduria (ma nato a Bologna) ha adesso un ruolo di punta.
- Comincia con un ritorno anche Nella perfida terra di Dio, ed è subito western. Come nel celebre film di Fred Zinnemann o in quelli di Sam Peckinpah e Quentin Tarantino si respira, infatti, già nelle prime scene la tensione del duello. Tore Della Cucchiara torna nel piccolo centro di Rocca Bardata, dopo essere sparito per un po’ con una brutta fama sul groppone e, soprattutto, la maledizione dei due figli che lo ritengono anch’essi l’assassino della propria madre, la bellissima Antonia, sparita misteriosamente. I due ragazzi, Gimmo e Michele, senza i genitori, sono cresciuti con il nonno materno Nuzzo, uno sciamannato e rozzo santone con fama di guaritore. Quando Nuzzo muore, riappare Tore, che ha un pesante conto da regolare con il boss Carmine Capumalata, un tempo fraterno alleato nel controllo criminale della zona. A tempestare il quadro di fosche tinte gotiche ci sono poi i loschi traffici della badessa, Narcissa, dell’ordine delle Sorelle del Martirio di Brindisi.
Segreti inconfessabili e atavica cupidigia intossicano gli animi e impregnano di veleni quella Puglia interna a ridosso della costa che è la patria letteraria di Omar Di Monopoli: luogo dell’anima, sud universale, cuore selvaggio come l’America profonda dell’omonimo film di David Lynch o dei romanzi di Faulkner. Non c’è salvezza o redenzione in questa perfida terra di Dio, solo qualche scheggia impazzita di purezza e frantumi d’amore. Né “umili” né “vinti”, solo dannati, ultimi degli ultimi che per quanto s’illudano ciascuno a modo suo l’inferno lo sconta vivendo. Delle loro storie Omar Di Monopoli sviscera il meccanismo delle passioni che «in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro il suo disegno semplice» e dargli voce con parole nuove d’austera e arcaica modernità.
Il Salento di Di Monopoli non è l’immaginaria Vigata di Montalbano dove la lingua nazionale e il dialetto siciliano si fondono amorevolmente nella pace letteraria dei sensi di un altrove teorico e plausibile in cui il Bene trionfa sul Male. Nella perfida terra di Dio di Di Monopoli le tensioni, i guizzi sulfurei, lo stridore lessicale delle due lingue riflette la morbosa complessità di una lotta dall’esito incerto fra mondi opposti e inconciliabili: bellezza naturale e spregio ecologico, sacro e profano, civiltà letteraria e violenza.
Omar Di Monopoli, Nella perfida terra di Dio, Adelphi, 2017