Ama il prossimo tuo come te stesso, dice un comandamento. Infiniti sono i modi dell’amore. Il diritto non può comprenderli tutti. La letteratura sì, anzi: deve. E per di più deve raccontare ogni amore come se quello fosse l’unico e tutti gli altri al tempo stesso. Almarina di Valeria Parrella è così, per virtù di scrittura. Ci dice un amico: non c’è frastuono di frasi a coprire vuoti, ogni parola è voluta e necessaria. Aggiunge senso, diciamo noi, senza mai chiudere l’orizzonte delle possibilità, come «prendere il giorno e metterlo nella notte»: che luce sarà? Almarina è una storia così, con una luce speciale, che «suggerisce una speranza».
Chi racconta è Elisabetta Maiorano, ha cinquant’anni, insegna matematica nel carcere minorile di Nisida, a Napoli. Da tre anni ha perso il marito e da allora usa il passaporto, anziché la carta d’identità, perché lì non c’è la casella stato civile e lei non vuole leggere vedova. Il dolore se lo porta dentro, sordo e tenace, come un esercito fantasma. Poi tra i suoi allievi arriva Almarina, sedicenne, romena, tante violenze subite, e nessuna commessa, un fratello di sei anni in una casa famiglia, dopo l’arrivo in Italia e la separazione al termine di un viaggio disperato vissuto con la leggerezza infantile di un’avventura: «Lei deve essersi sentita grande quando l’hanno portato in salvo. Avrà pensato che lo adottavano, avrà pensato quello che pensavano le madri dell’Annunziata appoggiando a notte i figli nella ruota».
Almarina crede che Elisabetta possa darle «il senso di cui ha bisogno» e perciò le sorride e spalanca bene gli occhi. In quegli occhi Elisabetta vede «la luce del futuro» e a quella si aggrappa per venire fuori dal buio della propria condizione. Le due donne sono necessarie l’una all’altra, e lo sanno. Riusciranno a vivere questo loro sentimento con la pienezza che merita? C’è un carcere di mezzo e una tutela giuridica. Talvolta il «diritto è contro natura». Un’amica a Elisabetta: «Stato e individuo. Chi ha ragione?» «Individuo» «Non lo pensi. Non lo pensi perché tu paghi le tasse, prendi lo stipendio, ti incazzi se c’è il parcheggiatore abusivo e la carta della pizza l’hai butta nel cestino e non a terra…».
L’animo ferito di Elisabetta continuamente sguscia dall’intimità del proprio dolore e con inesausta, febbrile, onnivora vitalità riannoda relazioni slabbrate, altre ne cerca. Almarina è romanzo d’inestimabile ricchezza. Con grazia nervosa e sintetica e libertà di scrittura senza schemi, Valeria Parrella dà voce cristallina all’irriducibile complessità di un io inquieto che vuole rimettersi in asse con il mondo: «… ci vuole un sacco di tempo, o una poesia perfetta, per dire davvero le cose come stanno». Certe volte basta un romanzo di 123 pagine.
Valeria Parrella, Almarina, Einaudi, 2019