«Questa è una storia assurda.» Inizia così, La seduta spiritica di Antonio Iovane. Non c’era modo di cominciare più preciso ed efficace. Novantadue minuti di applausi. Assolutamente. Ma giudicate voi.

La seduta spiritica in questione è quella memorabile del 2 aprile 1978 durante la quale venne fuori il nome Gradoli come luogo della prigionia di Aldo Moro, rapito in via Fani dalle Brigate rosse il 16 marzo. Quella seduta si tenne in una villa a Zappolino, un piccolo paese vicino Bologna. Erano presenti, con le rispettive famiglie, Romano Prodi, allora quarantunenne, ed altri docenti universitari suoi colleghi.

Tutti hanno sempre sostenuto, concordemente, in varie sedi ufficiali, che, iniziata la seduta piuttosto scettici e un po’ per gioco, invocati don Sturzo e Alcide De Gasperi, il piattino si mosse da solo senza alcun trucco da parte di nessuno. Come segnalato da Romano Prodi agli organi competenti due giorni dopo, insieme a Gradoli quel piattino molto dinamico compose anche le parole Bolsena, Viterbo, casa con cantina.

Per tale ragione, quindi, così si sono sempre giustificati gli inquirenti, nessuno associò il nome Gradoli alla corrispondente via di Roma nei pressi della Cassia dove, guarda caso, c’era un importante covo terroristico che le Brigate rosse si premurarono di far scoprire il 18 aprile provocando intenzionalmente un allagamento con conseguente intervento dei Vigili del fuoco. Via Gradoli, peraltro, era già stata battuta a tappeto dalle forze dell’ordine due giorni dopo il rapimento di Moro ma allo squillo del campanello dall’appartamento utilizzato come covo naturalmente nessuno aveva risposto, i due militari quindi erano andati via e non si era proceduto oltre.

  • E allora, è o no «una storia assurda»? Antonio Iovane, però, con il caparbio assedio di una puntuale ricostruzione narrativa, apre il varco a un’ipotesi ragionevole (e inquietante) nel muro coriaceo dell’inaccettabile versione di Prodi e dei suoi colleghi nonché dei tanti, troppi intrighi dei servizi segreti, di fatto ben protetti dagli opportuni silenzi di Cossiga e Andreotti. Tanto basterebbe per definire il suo libro necessario. E avvincente. Quell’ipotesi ragionevole vale, infatti, come in un giallo la scoperta dell’assassino. Ma c’è di più.

La seduta spiritica ha solidità d’inchiesta giornalistica ma il suo raggio d’azione è quello molto più ampio di un «romanzo collettivo» delle «nevrosi» o «paranoie» di una nazione. Alla maniera di Anatomia di un istante di Javier Cercas, più volte citato. Una certa versione dei fatti, quella dominante, distorta e approssimativa ma compatibile con gli schemi logici di un racconto fruibile, l’abbiamo costruita insieme e accettata come vera forzando tutti, involontariamente, i nostri stessi ricordi.

Tanti, anche autorevolissime personalità, hanno detto e testimoniato di aver visto ampi servizi televisivi sul «rastrellamento» di Gradoli. Falso, a Gradoli non ci sono mai state perquisizioni «a tappeto, casa per casa» né tanto meno immagini ad esse relative. Così come – ha dimostrato Cercas – in Spagna non c’è stata diretta televisiva del tentato colpo di stato del generale Tejero. Eppure tanti erano convinti di averla vista.

  • Ma se neppure di noi stessi ci possiamo fidare, dov’è allora la verità? Nella letteratura, forse: nella sua presuntuosa, puntigliosa umiltà. La seduta spiritica, in larga parte, è un grande omaggio a Leonardo Sciascia che con il suo rigore illuminista in quel coacervo di giochi sporchi del caso Moro con solitario ardore è andato in direzione ostinata e contraria. Al di là dei colpevoli, della strage di vai Fani restano le vittime, e gli eroi: uno di questi è Leonardo Sciascia.

 

Antonio Iovane, La seduta spiritica, minimum fax, 2021