Si può leggere un romanzo sbirciando corrispondenze fra realtà e finzione, autore e personaggi, ma è un po’ come spiare dal buco della serratura: l’immagine è parziale, la prospettiva distorta. Non vale la pena. Molto meglio leggere percorrendo le pagine di vetta in vetta dal punto più alto della scrittura. Per Sembrava bellezza di Teresa Ciabatti consigliamo vivamente questa seconda e più avventurosa modalità. Consigliamo, in particolare, di agganciare gli occhi alle vertigini della sintassi. Quella di Sembrava bellezza è una sintassi web.

Sintassi web è quando due trattini sono una finestra, ogni parentesi un link, niente o quasi subordinate, ogni frase una sorpresa. Nuovo e più nervoso è, quindi, il modo di connettere le parti della narrazione, uno scossone o variante del tradizionale andamento a trenino del nesso logico e cronologico. In sostanza, una forma più vicina alla sensibilità erratica dei nostri tempi. Più veloce e brusca. A «balzi». Più concentrata sull’essenziale. Refrattaria fino alla «irascibilità per i piccoli accadimenti che comportano uno spreco di energie».

Sembrava bellezza è un ininterrotto flusso di coscienza – ma in diretta streaming con i lettori – durante il quale una scrittrice famosa, vinta «l’inadeguatezza» adolescenziale, ritorna agli anni del liceo e in un gioco di specchi si confronta con quella che era un tempo. Più che altro fa a pugni. Con se stessa e amiche e amici di allora. Ieri oggetto della sua invidia. Oggi tributari della sua celebrità.

«Ma rimaniamo su di me, la me alla sinistra di Federica. Chi sono io al tempo? Chi se non un ragazzona sovrappeso, truccatissima, triste, impaurita, complessata, derisa, rabbiosa, piena di rabbia tanto da urlare: vado a scuola, e faccio una strage, mamma… Passano trent’anni, e l’ultima a sinistra della foto cambia posizione. Una forza centripeta la spinge al centro, la luce su di lei, e voi in ombra.»

Roma, quartiere Parioli, liceo Mameli, anni Ottanta. Nell’immaginario collettivo il rapimento di Emanuela Orlandi con leggende tipo: nel camerino di quel negozio c’è una botola, ti rapiscono e poi ti vendono. Chi racconta viene dalla provincia, la Maremma, e anche in questo è come l’autrice. Vari i nodi che legano Teresa Ciabatti e il suo personaggio, stretti e però contraddetti tanto da dissuadere e depistare ogni velleità di lettura in filigrana. Del resto, un romanzo è vero solo se e quando corrisponde alle intenzioni dell’autore, il quale peraltro le proprie intenzioni le conosce via via che scrive. Quanto più forte è questo legame e adeguata la sua forma, tanto più vero è ciò che è scritto. Altra verità in letteratura non c’è. Né è lecito chiederla.

«A questo punto della storia, della ricognizione della mia adolescenza attraverso quella di Federica, e di Livia (in una graduatoria di felicità/fortuna, in luogo di sfumature della stessa ragazza da Emanuela Orlandi a me, passando per Livia, dalla scomparsa all’obesa, oppure al contrario, un’unica ragazza che va via via a sbiadire); a questo punto saltano tutti i paletti. Noi stesse ci scopriamo confuse, cosa siamo diventate, costellazione senza luna, microscopiche stelle a punteggiare il cielo buio. Qualcosa non torna.» Cosa cerca allora la scrittrice famosa: rivincita? O forse espiazione, perdono per qualche zona oscura? Quale?

In tutte e due le età di chi racconta ci sono Livia e la sorella Federica. Livia, con l’onnipotenza della sua bellezza, tutto muove attorno a sé. Desideri e invidia. «Al cospetto dell’essere biondo ammutoliamo – ed è il ricordo più vivido del periodo di amicizia con Federica, delle giornate trascorse da lei. L’apparizione, all’improvviso, della sorella.» Poi una notte la regina cade dal trono (ma come? solo alla fine sapremo), la sua giovinezza «deflagra» e nel corpo e nell’anima s’apre una ferita profonda. Con amorevole abnegazione le sarà a fianco la sorella.

  • Sembrava bellezza è il racconto impietoso di eroiche fragilità. La giovinezza è la più crudele delle stagioni. Basta una notte per spegnere la sua luce. Né mai alcun successo in età adulta potrà irradiare quella luce su chi da ragazza era nel cono d’ombra. Lo sa bene la scrittrice famosa, che s’azzuffa col suo passato senza mai piegarlo alla nuova misura di sé mentre – confortata da Federica – rabbiosa si strugge per l’astio della figlia e invoca tenerezza: «E vorrei aggiungere: vienimi a prendere. A prescindere dal mittente, parlando a una qualsiasi persona in pena per me, maschio, femmina, figlia, amante: siamo ancora giovani, talmente giovani. Tutta questa tenerezza sprecata, quanta tenerezza a sperdersi qua sotto. Portami via (e qui immagino un maschio)».

Sembrava bellezza è un vaso colmo di ispida, scontrosa e ribelle tenerezza che nel fuori testo della dedica si scioglie infine in un disarmante, coinvolgente abbraccio. Impossibile, ma vero. Come ogni parola di questo romanzo. Non reale, vera. «Allora chiudo gli occhi, chiudo forte gli occhi, sono diventata scrittrice per questo: inventare, sistemare.»

 

Teresa Ciabatti, Sembrava bellezza, Mondadori, 2021

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