La bellezza non esiste. È negli occhi di chi guarda. O legge. Noi oggi la vediamo nell’irrequietezza di chi non si arrende alle banalizzazioni del pensiero dominante e accetta la sfida della complessità cercando un difficile equilibrio fra gli opposti. In Volevo essere Madame Bovary Anilda Ibrahimi ci prova e ci riesce magnificamente.

Albania, metà anni Ottanta. Siamo in pieno regime. Enver Hoxha è la grande guida. Hera è un’adolescente, sogna le eroine dei romanzi, le amanti dagli amori difficili e i destini infelici. Vorrebbe essere Madame Bovary, ma anche Anna Karenina o una cortigiana come quelle di Balzac. Ha già deciso, quando sarà il momento niente arsenico, piuttosto il treno. Hera, però, porta il nome della dea greca della fertilità e della fedeltà. Sa che storia e appartenenza sono irrinunciabili ed è rassegnata a vivere nel piccolo paese di Santi Quaranta.

Si consola perché ama davvero zio Enver ed è pronta a dare figli alla patria socialista e a difenderla con le armi dall’imminente aggressione degli italiani: «gli italiani erano il nemico preferito». Quando accade l’incredibile e fra lo stupore di tutti la grande guida muore, per di più di morte naturale, come uno qualsiasi, per la parata funebre Hera si fa cucire un tailleur come quello di Jacqueline Kennedy ai funerali del marito. La madre inviperita la chiama kurva(prostituta) e glielo straccia. Hera sfilerà con la camicetta bianca, la gonna blu e il fazzoletto rosso, come tutte. La bellezza una dittatura non se la può permettere. L’Occidente, forse. Andare via, dunque, sfidare il proprio destino.

Eccola quindi Hera a quarant’anni, video artista di fama internazionale, sempre in giro di qua e di là per festival e mostre. Arrivata a Roma appena laureata, alla fine degli anni Ottanta, proprio mentre il mondo cambiava, dopo vari amori e disamori, ha sposato Stefano, ha due figli. E un amante, Skerd, italiano d’origine albanese come lei, anche lui sposato, con un’albanese. Il romanzo comincia con Hera e Skerd a Tirana per una breve vacanza insieme. Lei è la prima volta che ci torna, da allora. È l’occasione per fare i conti con se stessa e quel groviglio di memorie e mondi, ambizioni e colpe, passioni, rinunce e fantasmi che da sempre la tormenta.

Anilda Ibrahimi, nata a Valona, torna in libreria dopo cinque anni con un romanzo che per accuratezza espressiva sembra un manifesto contro «l’approssimazione stilistica della narrativa contemporanea», copyright Stefano, professione editor. Fra poesia e ironia, tradizione e modernità, filosofia e politica, Volevo essere Madame Bovary corre senza inciampi sul filo teso di sintesi argute e sferzanti. Racconta una donna, una terra, un popolo e te li fa amare: con lo stesso amore consapevole di Hera che – divisa fra due età, due mondi, due condizioni sentimentali in contraddizione estrema fra loro – ama e vive intensamente ciascuna di esse. Perché la vita è complessa, il resto è noia.

 

Anilda Ibrahimi, Volevo essere Madame Bovary, Einaudi, 2022

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