Anche quando non ce ne rendiamo conto, a fare la differenza e motivare la lettura è sempre il linguaggio, o voce – noi preferiamo dire così, ma siamo lì.
Legittima vendetta di S.A. Cosby, appena pubblicato in Italia, traduzione di Giuseppe Manuel Brescia, è stato il thriller dell’anno 2021, secondo il Washington post. Della serie: apre un nuovo capitolo del crime americano e mostra al lettore con realismo la faccia brutale degli Stati Uniti di Trump, dove il seme dell’omofobia e del razzismo è sempre pronto a germogliare. D’accordo, tutto vero. Vero anche che Legittima vendetta si legge a perdifiato, o perdi-notti, due o tre, dipende dai ritmi circadiani.

  • Dunque, scrittura serrata e voce potente ma storia – a onor del vero – esile e attuale… troppo attuale, in fin dei conti un po’ ruffiana con cattivi piuttosto caricaturali: un romanzo non è un intervento in un talk show (scusate, organi competenti: volevamo dire dibattito televisivo) per sostenere una certa, benché sacrosanta, posizione – peraltro, ci auguriamo, già largamente maggioritaria fra i lettori di romanzi.
  • Di fatto – già sommando gli indizi delle pagine 42 e 73, prova del nove a pagina 112 – salvo qualche dettaglio, avevamo capito come sarebbe andata a finire, tipo quando in una partita a scacchi da una certa apertura o mossa intuisci dove l’altro vuole andare a parare. E poi l’intreccio o dinamica investigativa – come i sassolini di Pollicino: un indizio dopo l’altro con grande linearità – sono, in un crescendo tarantiniano, scazzottate molto virulente, con annesso un truce occultamento di cadavere, poi pistolettate, infine un gran botto catartico.

Eppure dopo pagina 112 abbiamo continuato a leggere le rimanenti 250 con immutata, anzi crescente voracità (alterando il nostro ritmo circadiano) e non certo per la curiosità di sapere se l’avevamo azzeccata o meno, per quello bastava saltare alla fine. La verità è che in Legittima vendetta ogni battuta di dialogo è una sorpresa, una scintilla, uno schiocco al cuore. Tranne quando, per ben due volte ci siamo imbattui nel famigerato «Resta con me, resta me», detta al tizio a rischio di morte come in un qualsiasi dozzinale sceneggiato (pardòn, serie). A parte quest’inciampo, però, con espressioni colloquiali e gergali dei bassifondi del Sud (Virginia) e punte esilaranti di ironia e comicità, il romanzo racconta un dolore, forse il più grande che ci sia. Per di più irrimediabile, moltiplicato per due e aggravato in modo esponenziale dalla colpa.

A Ike Randolph e Buddy Lee Jenkins hanno ammazzato i figli, Isiah e Derek, l’uno nero, l’altro bianco, neppure trentenni, sposi e genitori di una figlia di tre anni, Arianna, partorita per loro da un’amica. Li hanno ammazzati davanti a un locale pubblico con i modi spicci e brutali dei killer professionisti. Chi? Perché?

Ike e Buddy Lee non si conoscono, hanno entrambi corposi trascorsi carcerari, Diciamo che hanno fatto le scuole in galera, scuole pure buone. Sono due duri. Ike è un colosso. Buddy Lee è svelto col coltello. Tutti e due sono a proprio agio con ogni arma. Il primo, però, con quel passato ha chiuso da tempo. Ha messo su un’impresa di servizi di giardinaggio, se la cava piuttosto bene. Ormai è un cittadino modello. Buddy Lee, invece, vive in una roulotte, sbevazza (eufemismo) e gravita sempre attorno al vecchio mondo. Soprattutto rimpiange e si strugge per il suo primo ma ormai lontano amore, Christine, la mamma di Derek.

Ike e Buddy Lee non hanno mai accettato l’omosessualità dei propri figli. Né tantomeno il conseguente matrimonio e la paternità. Tutte cose inconcepibili, per loro. E ora? Con la morte in entrambi divampa l’amore paterno, che era brace sotto la cenere dell’incomprensione, dei pregiudizi, del conformismo e dell’ipocrisia. Divampa l’amore, e il senso di colpa è benzina. Giustizia e vendetta bruciano assieme. Una sola cosa conta: scoprire chi è stato e fargliela pagare. Ike e Buddy Lee sanno che, questo, solo loro possono farlo. Ci riusciranno? A che prezzo?

Al di là delle chiacchiere del Washington post – tutte vere, per carità -, Legittima vendetta è un gran bel romanzo 2.0 di abbattimento delle barriere architettoniche in amore e alfabetizzazione sentimentale per genitori renitenti all’accettazione della personalità dei propri figli, quale che sia.

 

 

Legittima vendetta, pag. 164

 

«Sai cosa? C’è un mio amico che ogni tanto passa qui al bar. È un avvocato. Avrà più o meno la tua età. È gay, nero, ed è un figo della Madonna. Sai cosa mi ha detto una volta? Mi ha detto che certi neri odiano i gay più di quanto odiano i razzisti. Mi ha detto che crescere nero e gay in una cittadina di provincia era come essere bloccato fra un leone e un alligatore. I bifolchi bianchi da una parte e i neri omofobi dall’altra. Mi ha detto che l’unico modo per non farsi rompere i coglioni se ti tocca crescere nero e gay è fare il parrucchiere o dirigere un coro in una chiesa. Lui non sapeva fare né l’uno né l’altro, e così se n’è andato. Onestamente non gli credevo. Non riuscivo a credere che la situazione fosse così pesante. Però ogni giorno c’è un tipo come te che gli dà ragione» disse Tex.

«Ah, quindi secondo te è più facile essere nero che essere gay? Sta a sentire, se tu vai da qualche parte, puoi tranquillamente farti il tuo senza che tutti sappiano che sei gay, a meno che non glielo dici. Io sono nero dappertutto. Non posso nasconderlo» disse Ike. Tex tirò fuori lo straccio e lo strizzò con entrambe le mani.

«È vero, non puoi nascondere che sei nero. Ma il fatto che pensi che io debba nascondere chi sono dimostra esattamente che ho ragione io. Come ha detto il dottor King: un’ingiustizia commessa in un luogo qualsiasi del mondo è una minaccia alla giustizia in tutto il mondo» disse Tex.

 

S.A. Cosby, Legittima vendetta, Rizzoli, 2023