Prima di tutto, la cosa più importante: Il Continente bianco si legge tutto d’un fiato, perché nell’abisso si sprofonda di botto, non un passo alla volta, e come Silvia, la protagonista, sprofonda nell’abisso anche chi legge il nuovo romanzo di Andrea Tarabbia. Il male e il suo fascino, infatti, ce lo siamo detti tante volte ma mai abbastanza, sono in ognuno di noi. Nessuno escluso.

  • Silvia, cinquant’anni, raffinata ed attraente, moglie dello stimato psicanalista, prof. P***, villa signorile alla Camilluccia, incappa in una morbosa relazione, sentimentale ed erotica, con il giovanissimo Fabio Croce: metà dei suoi anni, bello come un Gesù, violento e fascista, capo di un gruppo clandestino di estrema destra, Continente bianco. Il prof. P*** sa, tra lui e sua moglie c’è piena confidenza, anche lei sa della relazione del marito in Veneto con una donna più giovane, che egli raggiunge ogni fine settimana. Ben presto a sapere tutto è lo stesso narratore della storia, che è anche coprotagonista del romanzo e ha il nome e i tratti dell’autore.

Lo scrittore Tarabbia è in terapia dal prof. P*** e questi, a margine delle sedute di psicanalisi, contravvenendo al codice deontologico della categoria, racconta al suo paziente la vicenda della moglie ribadendo convintamente la sua certezza d’una inevitabile, tragica fine della storia. Come puntualmente accadrà. Silvia, infatti, sarà brutalmente assassinata e questo lo sappiamo da subito. Anche perché, a questo punto è senz’altro chiaro, Il Continente bianco, come detto nell’avvertenza iniziale, nasce da un’ossessione dell’autore per L’odore del sangue, che Goffredo Parise ha lasciato allo stato grezzo e, dunque, Il Continente bianco è omaggio, riscrittura di quell’opera… «inafferrabile» e, quindi, da Andrea Tarabbia abbandonata per poi trarne alimento da lungi.

Rispetto al testo di Parise – edito dopo la sua morte perché l’autore non voleva fosse pubblicato – con l’inserimento narrativo dell’autore cambia il focus e il campo prospettico si allarga. Non siamo più alla cruda, sferzante e mirabile cronaca della morbosa autocoscienza erotico-amorosa di una coppia matura imbrigliata in un rapporto stanco. È significativo il passaggio del testimone generazionale. Il più giovane riceve dal più anziano la sua rassegnata impotenza all’ineluttabile tragedia e non solo la fa propria non riuscendo ad impedire l’epilogo tragico, ma entra nel gruppo clandestino, partecipa ad alcune «azioni» e se ne fa esegeta. Oltre ai consueti comportamenti, già noti alle cronache, contro cosiddetti diversi di ogni tipo, immigrati, neri, Rom…; oltre alle nuove dinamiche organizzative, il rapporto con le frange estremiste dell’Est, nello specifico i romeni, Il Continente bianco aggiorna e delinea con rigorosa chiarezza le radici culturali della violenza razzista e le perverse fragilità del machismo.

Per questo, quindi, ancor più dirompente è la domanda senza risposta che «guizza come una serpe» per le pagine del libro e nella testa dell’autore-narratore-coprotagonista: ma qual è, dov’è il fascino d’un Male così moralmente ripugnante e platealmente straccione nel suo tentativo di legittimazione teorica? Tarabbia: «Tu credi davvero a tutto questo?» Fabio Croce: «Io credo che tu voglia distruggere il mondo tanto quanto lo voglio io. Solo che tu a lungo ti sei illuso che ti bastasse farlo attraverso i libri. Non è così, non basta… Ti sei unito a noi… (perché speri di) scoprire che sei un uomo migliore di noi… ».

E allora il discrimine è l’odore del sangue. Parola di Goffredo Parise: «Quell’odore era un’opera d’arte e, proprio come l’opera d’arte, quando è veramente tale, esprimeva soprattutto il mistero, l’attesa, il rimando a capire». In quell’odore «in contrasto ad ogni grigiore mortuario» si può facilmente confondere violenza e vita pensando così di colmare ogni vuoto.

 

Andrea Tarabbia, Il Continente bianco, Bollati Borighieri, 2022