È nostra ferma convinzione che non conta come una storia finisca ma dove tu finisci quando la leggi. Pensavamo di leggere un romanzo, semplicemente, e invece siamo andati alla guerra. In Bosnia.

Prima con Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te, poi con Paolo Rumiz, Maschere per un massacro. Noi siamo andati nei Balcani, con un romanzo e un saggio entrambi di grande intensità sentimentale, ricchezza informativa e potenza drammatica. Invece Nada, Ivo, Omar, Sen, Yagoda, Danilo e altri bambini e orfani di Sarajevo sono venuti in Italia per scampare alla guerra… Si sono salvati? A che prezzo? Mi limitavo ad amare te è la loro storia. Maschere per un massacro è, invece, la Storia della spregiudicatezza assassina di quei grandi che di tanti piccoli hanno fatto dei profughi avendone devastata la patria.

Il romanzo della Postorino è un primo piano, il saggio di Rumiz un grandangolo sul contesto. Nelle vicende particolari dei bambini l’universalità di rapporti fondamentali, a cominciare da quello con la madre. E poi gli snodi eterni di ogni adolescenza e giovinezza: gli amici, l’amore, la ricerca del proprio talento e della propria identità. Nelle sofferte e lucide analisi geopolitiche di Rumiz i cinici inganni del potere e le ragioni del loro incendiario successo fra le masse («Dobbiamo domandarci: con quali mezzi una minoranza, armata di cannoni, servizi segreti e mass media, è riuscita a imporre uno scontro sanguinoso a una maggioranza che non lo voleva?»). I due libri insieme fanno qualcosa che assomiglia molto alla verità. Come vettori equipollenti vanno nello stesso verso. Questo.

Paolo Rumiz: «Spesso i grandi affermano di essere stati “presi in giro” o “colti di sorpresa” dagli eventi. Dobbiamo sapere che mentono spudoratamente. Essi sanno. Sanno talmente tanto, che a volte c’è da chiedersi come facciano a dormirci sopra… Fingono di credere alla storiella del lupo perché… non possono ammettere davanti a noi che Milošević, e dietro a lui Tudjman, decidendo di spartirsi la Bosnia, fanno per conto terzi un lavoro sporco necessario alla cosidedetta “sicurezza del terzo millennio”. Quella di un mondo banalizzato, un mondo in bianco e nero che esclude zone grigie, invoca semplificazioni. Comprese quelle etniche».

Un romanzo, invece, è una zona grigia. O non è. Un romanzo è il regno della semplicità (forma) complessa (sostanza). Al di là di ogni intenzione, fosse anche una nuda elencazione di fatti, quale che sia, una narrazione è sempre un’avventura nella zona grigia dell’animo umano dove confini ed etnie scolorano a fronte di certi bisogni comuni, quelli che davvero ci segnano, primo fra tutti l’amore materno («Ma dalla madre, chi ti salva?» Elsa Morante, L’isola di Arturo, in esergo).

Nada e Ivo, Omar e Sen, Yagoda e Danilo: legati fra loro dallo strazio della guerra, da vicissitudini simili, amicizia e solidarietà di profughi in Italia da Sarajevo, sono tre coppie di fratelli e sorelle, ciascuna con una diversa situazione familiare. Nada e Ivo sono stati abbandonati dalla madre, giovane donna in difficoltà, «randagia e alcolizzata, sulla bocca di tutti». Ma davvero li ha dimenticati? Omar e Sen hanno perso le tracce della propria madre durante un bombardamento e non sanno se sia ancora viva. L’uno è irriducibile nella speranza, l’altro rassegnato alla perdita. Yagoda e Danilo la madre ce l’hanno, con loro, ma attanagliata da sempre più insidiosi fantasmi interiori, di cui nel romanzo c’è traccia in alcune pagine assestanti in corsivo. Riuscirà l’amore per i figli («screziato di insofferenza, e rabbia, e stanchezza») e quello dei figli per lei a contenere questo malessere esistenziale?

Mi limitavo ad amare te comincia nel 1992, a guerra appena iniziata, e si conclude vent’anni dopo. In quest’arco di tempo quei bambini diventano adulti e qualcuno di loro anche genitore. Ciascuno adulto a modo suo, ma su tutti l’impronta decisiva della chimica sentimentale con la madre. La guerra passa (pace di Dayton, 1995), una madre è per sempre.

Certo, ogni guerra passa, ma lascia una scia di orrore. Indicibili quelli raccontati senza retorica e ridondanze dalla Postorino e da Rumiz. Eppure, noi umani non cambiamo mai, non impariamo nulla, e sempre «la spavalda astuzia del male prevale sull’inerme cecità del bene… Dai Balcani – scrive Rumiz – ci viene un insegnamento: ciò che ci trasforma in carne da cannone è palesemente lo stesso imbonimento che ci fa comprare questo o quel detersivo o votare questo o quel partito… ».

La «disinformazione dei mass media… ha alimentato… la storiella dell’odio atavico, della guerra tribale, del primitivismo, del conflitto etnico fra cristiani, ortodossi e musulmani» mentre la crisi nei Balcani era politica, economica e sociale e su di essa si sono avventate le grandi potenze.

«Dietro alla cecità inerme delle vittime e degli spettatori del dramma ne esiste un’altra, quella della grande poltitica. Le prime due sono altamente influenzate dalla terza; ma mentre le prime sono involontarie, quella politica è voluta, programmatica… Oggi è quasi un luogo comune dire che sono state Slovenia e Croazia a far saltare in aria la Jugoslavia, spinte alla secessione dalla Germania. Pochi dicono che, nel timore di una locomotiva tedesca capace di sfondare economicamente anche a sud-est, Londra e Parigi – d’accordo con Mosca – hanno dato un segnale di silenzio assenso a Slobodan Milošević e al suo progetto di serbizzare la Federazione». Con gli Stati Uniti all’incasso sulle ceneri dell’Europa: «a Dayton l’America ci ha nuovamente sottratto l’iniziativa diplomatica sulle questioni di casa nostra». O, forse, la mafia: «Oggi, dopo gli accordi di Dayton, ci si accorge che non di “pax americana” si è trattato, ma di “pax mafiosa”».

La Bosnia era una comunità multiculturale dove convivevano tre religioni antagoniste. Poi l’11 e il 15 luglio del 1995 a Srebrenica le truppe speciali del serbo Mladić sotto gli occhi inermi dei caschi blu olandesi hanno massacrato e gettato in fosse comuni ottomila maschi musulmani, «il più spaventoso massacro in Europa dopo il 1945». Quei giorni lì l’Europa è morta. È morta ottomila volte. Vive, invece, nei libri come quello di Rosella Postorino e Paolo Rumiz. Vive nella speranza di chi cerca la pace.

Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te, Feltrinelli

Paolo Rumiz, Maschere per un massacro, Feltrinelli