Tre libri intorno al cor ci son venuti, tutti e tre di recente pubblicazione di tre top player della rosa dei beati della letteratura a tutto campo: Simone Weil, Umberto Eco e Milan Kundera.
Titoli: Attenzione e preghiera, Confessioni di un giovane romanziere e L’arte del romanzo, una riedizione. Trama comune di gioco, «la questione di valore posta dalla nozione di lettura».
Confessioni di un giovane romanziere ti fa venire voglia di scriverlo, un romanzo, anche solo per mettere in pratica tutte le indicazioni che dà. Difatti, dopo averlo letto, ti sembra di avere la cassetta degli attrezzi… Errore: attrezzi in realtà non esistono. I pilastri di un romanzo sono le «costrizioni», i vincoli, ovvero le scelte via via necessarie per fare di un’idea «seminale» un mondo. Creatività uguale reattività.
Confessa il giovane romanziere Umberto Eco, esordio narrativo nel 1980, a quarantotto anni, dunque ancora giovane romanziere anche in età avanzata: «Solo dopo il mio terzo romanzo ho capito che ciascuno dei tre romanzi che avevo scritto era nato da un’idea seminale che era poco più di un’immagine» come, per esempio, avvelenare un monaco, Il nome della rosa.
Quest’immagine o idea «seminale» tu chiamala – se vuoi – ossessione, ispirazione o come ti pare. Di fatto essa è solo l’epifenomeno di una realtà sotterranea destinata a rimanere sconosciuta (anche all’autore) e perciò buona per ogni fantasia e ricostruzione, critica o meno. Tutto il resto è artigianato, almeno per il novanta per cento. «Cosa faccio negli anni di gestazione di un romanzo? Raccolgo documenti, visito luoghi e faccio mappe, schizzo la pianta interna di edifici… e talora disegno i volti dei miei personaggi… passo questo periodo di preparazione come in un castello incantato o, se preferite, in uno stato di rifugio autistico dal mondo reale».
Da un mondo all’altro: un romanzo è un travaso di mondi. In pratica, il mare in un secchiello: «Un mondo immaginario non è solo un mondo possibile, ma anche un piccolo mondo – ossia – “un corso relativamente breve di eventi che hanno luogo in un qualche angolo del mondo reale”. Un mondo di finzione narrativa è uno stato di cose incompleto, non uno stato di cose massimale». Poca roba, ma coerente: tanto coerente da impedire arbitri, ovvero interpretazioni che ne contraddicano i vincoli.
Un romanzo è un mandato che puoi svolgere come ti pare, arrivando dove ti pare, ma seguendo la sua stella polare, ovvero le istruzioni date, quali che siano, poche o molte: «Tra l’intenzione irraggiungibile dell’autore e quella discutibile del lettore, c’è l’intenzione trasparente del testo, che confuta le interpretazioni insostenibili».
Il romanzo è un’esplorazione di mondi. Ogni lettore può scoprire nuove terre, fuori e dentro di sé. Ridisegnare confini. Leggere è un’avventura collettiva.
Il romanzo moderno – dice Kundera ne L’arte del romanzo – non solo è pervaso da quella «passione del conoscere» che rappresenta la vera identità spirituale dell’Europa (al di là dei limiti geografici) e che risale alla civiltà greca ma svolge quel compito vitale di «esplorazione dell’essere dell’uomo e del mondo concreto della vita» che un tempo era della filosofia e della scienza e che da esse è stato abbandonato a favore di un sapere tecnico e specialistico.
I tempi moderni, quindi, hanno tra i loro fondatori non solo Galileo e Descartes ma anche Cervantes: solo inquadrandoli in quest’ottica complessiva gli ultimi quattro secoli di storia europea possono apparire affascinanti e vitali e l’heideggerriano «oblio dell’essere» non pesa più su di essi come un’inesorabile, definitiva condanna. «In effetti – dice Kundera – i grandi temi esistenziali che Heidegger analizza in Essere e tempo, giudicandoli trascurati da tutta la filosofia europea anteriore, sono stati svelati, mostrati, illuminati da quattro secoli di romanzo.»
Da Cervantes (l’avventura) a Richardson (la vita segreta dei sentimenti); da Balzac (la Storia) a Flaubert (il quotidiano); da Tolstoj (l’irrazionale nelle decisioni e nei comportamenti umani) a Proust (l’inafferrabile attimo passato); da Joyce (l’inafferrabile attimo presente) a Mann (il ruolo dei miti) a Kafka (il valore dell’Io in un mondo interiore sempre più dominato dall’esterno): la conoscenza è sempre stata la sola morale del romanzo, la cui storia è la successione delle scoperte da esso realizzate.
Il romanzo – conclude Kundera – è il regno della relatività e del dubbio, della ricerca ed è «ontologicamente» incompatibile con ogni verità assoluta. Quando dei romanzi si mettono a confermare il già detto, a glorificare l’esistenza non conta che siano centinaia o migliaia, che siano celebrati o premiati: essi allora hanno tradito «lo spirito del romanzo», si sono posti al di fuori della sua storia. Il romanzo a quel punto è morto. E con esso i tempi moderni.
Quando vediamo un eroe tragico precipitare nonostante la sua grandezza nell’abisso che si è scavato con le sue stesse mani e pur sapendo cosa accadrà non possiamo fare nulla per evitarlo, noi ne soffriamo fino alle lacrime perché – dice Umberto Eco – in qualche modo avvertiamo di essere incompleti come quell’eroe, di vivere quel suo stesso destino di inconsapevolezza.
I romanzi che contano ci mettono di fronte alla nostra fragilità, ai limiti della nostra umanità. Ci incitano a conoscerci, a metterci in discussione. A ridefinirci. Quando piangiamo per un eroe, in realtà piangiamo per noi stessi.
I romanzi che contano ci aiutano a scoprire noi stessi e il nostro tempo. Nel bene e nel male. Nel riso e nel pianto. Costi quel che costi.
Dice Simone Weil, Sulla nozione di lettura: «…il cielo, il mare, il sole, le stelle, gli esseri umani, tutto quanto ci circonda è qualcosa che noi leggiamo». Leggere è attribuire un significato: «… in ogni momento della vita siamo raggiunti come dal di fuori da quei significati che noi stessi leggiamo nelle apparenze… ciò che noi chiamiamo mondo è un significato che noi leggiamo, dunque qualcosa che non è reale. Ma ci cattura come se fosse esterno a noi, dunque come qualcosa che è reale».
Ancora Simone Weil: «I significati, che analizzati astrattamente sembrerebbero semplici pensieri, sorgono da ogni parte intorno a me, si impossessano della mia anima e la modificano di momento in momento, di modo che non posso dire… che la mia anima mi appartiene… Io credo in ciò che leggo, i miei giudizi sono ciò che leggo, agisco secondo ciò che leggo».
Modificano la nostra anima i romanzi che leggiamo? Come? «La guerra, la politica, l’eloquenza, l’arte, l’insegnamento, ogni azione sugli altri consiste essenzialmente nel mutare ciò che gli uomini leggono.» Ovvero, nel fare in modo che essi leggano nelle apparenze altri e nuovi significati.
Torniamo allora alla «questione di valore posta dalla nozione di lettura». Ebbene, essa ha «una relazione col vero e col bello come col bene, senza che sia possibile separarli… Noi non sappiamo pensarli insieme, e non possono essere pensati separatamente.» Leggere è tuffarsi dentro questo mistero. Una partita di Champions con vero, bello e bene… impossibile da vincere? Può darsi. In ogni caso, «Perché voler risolvere questa contraddizione, quando il compito più alto, su questa terra, è quello di definire e contemplare le contraddizioni insolubili che, come dice Platone, tirano verso l’alto?»
Simone Weil, Attenzione e preghiera, Meltemi
Umberto Eco, Confessioni di un giovane romanziere, La nave di Teseo
Milan Kundera, L’arte del romanzo, Adelphi