Estate del 1941. Offensiva tedesca in Ucraina. Un reggimento russo è intrappolato in un bosco nei pressi del villaggio di Marcichina Buda. Non c’è più neppure il pane per sfamare i feriti. Il soldato Ignat’ev insiste con il comandante: da solo o quasi riuscirà a svuotare un camion tedesco con viveri e catturerà anche qualcuno che possa dare informazioni. Impossibile. Morirà. Speriamo di no.

Diceva il buon vecchio Cechov: «Se in un racconto compare una pistola, bisogna che prima o poi spari». Se un autore espone così un personaggio di forte impatto emotivo, lo fa per capitalizzare le simpatie che quello ha raccolto fin lì. E che c’è di meglio che immolarlo con una morte scenografica? Tipo Ettore nell’Iliade. I grandi autori sono tali proprio perché bravi ad organizzare questi scherzi, marchiando così a fuoco la tua sensibilità con immagini indelebili. Frame a prova di vecchiaia.

Il popolo è immortale è un libro così… che a pagina 154 ti fermi e non hai più cuore di andare avanti. Perché? Perché la guerra è la cosa più brutta che c’è e Grossman la racconta così com’è. A quella pagina lì accade, quindi, che il tuo eroe rischia grosso. Temi per lui. Climax. Tensione narrativa crescente.

«Semën Ignat’ev si era fatto presto un nome non solo nella sua compagnia, ma nell’intero reggimento. Tutti conoscevano quell’uomo forte, allegro e instancabile. Era un lavoratore eccezionale: in mano sua ogni attrezzo suonava, felice. In più Ignat’ev aveva una tale, straordinaria capacità di lavorare con soddisfazione e leggerezza che a chiunque lo vedesse anche solo per un momento veniva voglia di afferrare un’ascia, una sega o una vanga e di darsi da fare con la sua stessa leggerezza e perizia. Aveva anche un bella voce e conosceva un sacco di canzoni strane…»

Ignat’ev è l’incarnazione dell’utopia del popolo sano, motore della narrativa di Grossman. Attenzione: dal manicheismo ideologico al folklore del realismo socialista è un niente. Questione di centimetri. Gli eroi di Grossman sono tanti, forti e fragili. I fatti sono Storia a denominazione di origine controllata. I dettagli precisi e doviziosi. Lo sguardo dolente e profondo. La presa sulla realtà è sempre salda, perciò il romanzo puoi rigirarlo come vuoi, guardarlo da ogni punto di vista e sotto qualsiasi bandiera: ha sempre sapore di verità, non di propaganda. Il popolo è immortale è un’efficace e nobile forma novecentesca della più grande utopia della Storia umana, quella secondo cui esiste uno spazio incontaminato del Bene.

«Nasconditi anche tu, accidenti, sei impazzito?» «Ma dove vuoi che vada? È il mio bosco, questo, sono io il padrone. Se me la filassi, me la canterebbe subito: dov’è che stai andando, padrone, eh?» Il bosco di Marcichina Buda è Inferno e Paradiso insieme. Ha una potenza simbolica dantesca.

A Ignat’ev ricorda il bosco di casa, giardino di delizie di un tempo appena perduto… e le passeggiate di ore e ore a smemorarsi fra gli alberi, la pesca nel fiume di gabioni e piccoli rutili, gli amori in camporella: «Che nottate stupende ci avevano trascorso insieme! Di notte, ricordò, le sagome bianche delle mele splendevano nel nero delle foglie scure, e accanto a lui Marusja sospirava e rideva sottovoce come un uccellino. Il cuore gli si scaldò a quei pensieri…».

Ora, però, in quel bosco i tedeschi si riposavano tranquilli e beati, alcuni facevano il bagno nello stagno e poi si sdraiavano nudi al sole, altri in un frutteto pranzavano sotto gli alberi e bevevano in tazze di metallo mentre uno di loro caricava il grammofono, un altro giocava con un cane e un terzo scriveva una lettera. Poi da una casa si affaccia una ragazza magra, scalza, con un fazzoletto bianco in testa, qualcuno sbraita e a gesti le chiede dell’acqua, quella rientra in casa e torna subito con una brocca…

«Fu in quel giorno e in quel momento preciso che Ignat’ev capì con tutto il cuore cosa stava accadendo nel suo paese, e cioè che quella guerra si combatteva perché il popolo e i lavoratori potessero vivere e respirare… capì con tutto il cuore e con ogni goccia del sangue che gli scorreva nelle vene che quella guerra andava combattuta finché i tedeschi non se ne fossero andati dalla terra dei Soviet.»

Ignat’ev è il Bene: se lui ce la fa, c’è ancora speranza. Per tutti. In quest’illusione ottica è la grandezza dell’arte di Grossman e di quelli come lui.

Vasilij Grossman, Il popolo è immortale, Adelphi