Carlo Rovelli, Buchi bianchi, pagine 37 e 38, spettacolare fusione nucleare fra due atomi di genialità: l’uno di Albrecht Dürer, maestro rinascimentale della prospettiva, l’altro di David Finkelstein, scienziato di cultura vastissima, con interessi che spaziavano fra politica, arte, musica e scienza.

Carlo Rovelli cita un articolo di Finkelstein su un’incisione di Dürer, Melencolia I, un’opera complessa, carica di simboli. Scrive Rovelli: «La scoperta rinascimentale della prospettiva è anche la scoperta generale dell’aspetto prospettico della realtà. L’ambiguità dell’incisione riflette e racconta quest’ambiguità fra le prospettive. Nella lettura che ne fa Finkelstein, Dürer mette in scena la melanconia di coloro che si sforzano invano di raggiungere verità e bellezza assolute. Se tutto ciò a cui accediamo è prospettico, noi non possiamo arrivare a una verità universale assoluta. L’impossibilità di accedere all’assoluto è – per Dürer interpretato da Finkelstein – la sorgente della nostra melanconia».

Stacco, spazio bianco ed ecco a seguire l’energia pulita della riflessione di Rovelli prodotta dalla fusione nucleare dei due atomi di genialità: «(non lo è per me. al contrario: mi sembra la sorgente di una vertigine dolce. la vertigine della leggerezza…» (Pausa e nostro chiarimento a citazione aperta) Attenzione, punteggiatura e ortografia che escludono ogni gerarchia e allineano le frasi in paratassi sono una scelta stilistica con la quale l’autore – crediamo – intende rimarcare (play) «…l’inconsistenza del tenue reale di cui facciamo parte…)» stop.

  • Infinite, quindi, sono le strade della verità ma tutte passano per via della bellezza. Scrive Rovelli: «Non so se i buchi bianchi esistano veramente, nella realtà. Sui buchi neri sappiamo moltissimo – li vediamo -, i buchi bianchi non li ha ancora visti nessuno» ma la loro esistenza «è un’idea che mi sembra bellissima». Insomma, oltre che nelle arti varie, compresa quella di vivere, anche nella ricerca scientifica è la bellezza che tutto muove.

La nostra civiltà è cresciuta a pane, matematica e metodo galileano (sempre sia lodato): osservazione, ipotesi e verifica sperimentale. La ricerca scientifica, però, non può fare a meno della poesia. Prova ne sia l’analogia (scusate la filastrocca) che per Carlo Rovelli è a tutti gli effetti uno strumento di ricerca così come i fitti riferimenti danteschi nel suo libro più che omaggio sono autorevole salvacondotto per il periglioso viaggio dentro l’orizzonte (sottotitolo del libro) di un buco nero.

Non è forse pura poesia questa combinazione scacchistica di semplicità e potenza concettuale? Apertura: «Analogia è prendere un aspetto di un concetto, riutilizzarlo in un altro contesto preservando qualcosa del suo significato e lasciando perdere qualcos’altro, in modo che la nuova combinazione produca significati nuovi ed efficaci. Così funziona la scienza».

Spazio bianco, nuovo paragrafo. Sviluppo: «Così funziona, credo, anche l’arte migliore. Scienza e arte riguardano la continua riorganizzazione del nostro spazio concettuale, ciò che chiamiamo significato. L’arte non è nell’oggetto artistico e ancor meno in qualche misterioso mondo spirituale: è nella complessità del nostro cervello, nella caleidoscopica rete delle relazioni analogiche con cui i nostri neuroni reagiscono all’oggetto e tessono ciò che noi chiamiamo significato».

Scacco matto: «Molti grandi passi del sapere sono stati compiuti grazie al solo buon uso del cervello, senza alcuna nuova (ndr: corsivo dell’autore) osservazione». Esempi? Newton, le «forze»: prese a prestito dall’esperienza quotidiana di una spinta. Faraday, i campi elettrici e magnetici estesi nello spazio: rubati ai contadini. Einstein, la diversa velocità del tempo: «ma non lo sapevamo per esperienza comune da sempre?»

Quale, invece, l’analogia che ha portato Carlo Rovelli e il suo amico americano Hal ad immaginare i buchi bianchi nella chiara luce di un mattino di nove anni fa a Marsiglia? La più semplice: il rimbalzo. Cosa fanno gli oggetti quando cadono? Rimbalzano.

Un buco nero è una stella che avendo consumato l’idrogeno ha smesso di bruciare e, quindi, collassa, schiacciata dal proprio peso. Cade. Sprofonda su se stessa e contraendosi sviluppa una gravità sempre maggiore che incurva lo spazio-tempo in una spirale via via più profonda, ridotta e serrata. Nel buco nero la gravità impedisce alla luce di uscire. Rallenta anche il tempo: fuori trascorrono milioni e milioni di anni, dentro frazioni di secondo. La stella precipita come in un inferno dantesco riducendosi ai minimi termini fino al punto che lo stesso spazio si sgrana in quanti e il tempo si ferma. Fine corsa: «Se lo spazio è granulare, l’interno di un buco nero non può schiacciarsi fino a diventare più piccolo dei singoli grani… Che succede a quel punto?».

Un rimbalzo. Ovvero, «un salto quantico per effetto tunnel» che permette al buco nero di superare quella situazione eccezionale di singolarità (in cui le equazioni della fisica classica non funzionano più) e di passare «da una configurazione dello spazio-tempo a un’altra». Rimandiamo alle parole di Carlo Rovelli per le spiegazioni scientifiche, corredate peraltro da opportuni e semplici disegni.

Qui e ora basti sapere che: «Il salto al di là della fine del tempo prevista dalla relatività generale può succedere: è previsto dalla teoria quantistica, che ne determina le esatte caratteristiche quantitative. È un vero salto, come tutti i salti quantici: una rottura di continuità. Una momentanea frattura del continuo spaziotemporale… Le equazioni della gravità quantistica descrivono un mondo  del tutto diverso da quello della nostra intuizione». È la «gravità quantistica a loop», bellezza, (ndr, segnalazione agli organi competenti: a loop, parola straniera, multa, please) e alla sua costruzione insieme ad altri ha sempre lavorato e tuttora lavora Carlo Rovelli.

«Il Big Bang può essere stato un grande rimbalzo cosmico (un Big Bounce), in cui un universo che si comprime raggiunge la densità massima consentita dai quanti, poi rimbalza e inizia ad espandersi. In un buco nero non è l’intero universo a rimbalzare, è solo la stella, ma la fisica è simile: a grandissima densità i quanti sono discreti e generano una pressione che impedisce un’ulteriore compressione e causa il rimbalzo».

Ciò che muore, poi rinasce. Il buco nero che divora la luce, come un padre i propri figli, genera altrove nuovi mondi. Siamo solo a pagina 79 del libro, che ne conta 130, più Note e Indice analitico, totale 141. Manca tutta la terza parte. Avvertenza di Rovelli prima che questa cominci: «Aspettatevi sorprese». Noi confermiamo, ma ci fermiamo qui, travolti dall’entusiasmo e rapiti dalla bellezza dell’ipotesi cosmologica, da sempre nostra segreta speranza, di un eterno respiro dell’universo che si espande e poi si contrae e infine in un divino amorevole abbraccio riunisce ciò che prima era diviso in tempi e spazi differenti. Big Bang, Big Crunch, Big Bounce: è la nostra santissima trinità. Coraggio, uomo, la vita non ha mai fine. Grazie, Carlo Rovelli, per averci confermato con la sua autorevolezza che le infinite umane verità prima sono belle poi sono scienza.

 

Carlo Rovelli, Buchi bianchi, Adelphi, 2023