Letteratura è quando cerchi l’amore nella verità, tenendo questo sentimento come e più di ogni altro al riparo da retorica e approssimazione. In Tuamore Crocifisso Dentello ricorda la madre morta da poco a sessantadue anni per un tumore. Tuamore, invenzione lessicale per «esorcizzare la sventura» della parola tumore, è dunque un commosso omaggio dell’autore «all’unica donna della mia vita» ma per chi legge è un incontro con un personaggio vivo perché raccontato con sincerità e cura espressiva in tutto il suo straripante carico di umanità («Ti scorreva tanta di quella lava nelle vene»). Letteratura è quando, per virtù di stile del racconto, l’unicità di ciascuno di noi assume valore universale e chiunque si può rispecchiare in essa che si senta simile o diverso.

Melina non sopportava d’essere chiamata con il nome di battesimo Carmela.

Nata a Gela nel ’58, quarta di otto figli, emigrata nel ’66 con la famiglia in Brianza, sposa e madre fra ’77 e ’78, tre figli e quattro nipoti, nella sua vita, nel complesso «discreta», due costanti: continue difficoltà materiali ma, più forte di quelle, sin da bambina un’esuberanza che trovava con naturalezza in ogni situazione note caustiche ed esilaranti di umorismo e comicità. Insomma, benché ne soffrisse, Melina gli rideva in faccia a povertà, soprusi e sofferenze del tuamore: «… la vita l’hai sempre aggredita a colpi di commedia… ma sei stata come quei comici che in scena strappano risate e dietro le quinte si macerano nella malinconia… La tua filosofia di vita è sempre stata una sola: mai prendersi sul serio e mai prendere nulla sul serio».

Un esempio. A tavola, grazie ai soldi dei libri di narrativa venduti di seconda mano dal figlio: «Be’, non male queste sei polpette in cerca d’autore». Oppure: «A te tocca il petto di pollo dimezzato, a me l’aragosta inesistente». E ancora. Alla dottoressa che le dice che gli esami non vanno benissimo: «Eppure giuro che mi applico. Lei è un po’ severa con i voti. Spero di fare bella figura alla prossima interrogazione».

Una madre e un figlio si amano fra loro a prescindere, ma ancor di più quando entrambi sono consapevoli della propria irriducibile diversità. È il caso di Melina e Croci, diminutivo di Crocifisso, nome ereditato dal nonno. Melina è preoccupata dall’indole introversa e solitaria del figlio; il figlio si preoccupa di non preoccupare la madre al punto da inventarsi socialità inesistenti. Succede, quindi, che alla mezzanotte di Capodanno del Duemila il figlio sia da solo in una cabina telefonica mentre la madre, contenta, sa che è in compagnia di amici. Oppure che una reclusione in hotel a Cesenatico sia spacciata per un piacevole soggiorno al mare con due amiche.

La forza di un rapporto è nell’intimità quotidiana di piccoli gesti, complicità,   compiti ripartiti, ruoli accettati, svaghi e passioni condivise, lessico familiare, intese senza parole: nell’improvvisa mancanza di tutto questo è quel peso insostenibile di un lutto che, a quanti dicono bisogna andare avanti, ti fa rispondere: «Ma io voglio tornare indietro». Un lutto è la luce buia del soggiorno che prima vedevi già dal cortile di casa, è la polvere che via via copre gli oggetti della persona amata.

Crocifisso Dentello ha trovato le parole e la misura giusta di coraggio e pudore per dare voce al suo dolore e custodirlo nella memoria come vincolo d’amore con la madre. Del resto: «La vocazione letteraria me la sono cullata dentro più per riscattare il tuo destino che il mio. Scrivere per renderti giustizia, ripagarti di una vita di niente. Scrivere è stato un tentativo di essere figlio fino in fondo» e poiché siamo tutti figli Tuamore è di tutti.

 

Crocifisso Dentello, Tuamore, La nave di Teseo, 2022