Lunedì 27 settembre 2022. Sono in macchina con Francesco Carofiglio e Gabriella Berardi, direttrice della Biblioteca La Magna Capitana. Andiamo a Candela, dove alle 18 nel chiostro della Biblioteca a palazzo Ripandelli, Francesco Carofiglio presenterà il suo nuovo romanzo, Le nostre vite.
Parliamo di questo e di quello. Io sono concentrato alla guida, più che altro ascolto. Francesco Carofiglio è appena tornato da un giro promozionale in Sicilia. Dice: Strade, servizi… tutto uno sfascio. È ferito, costernato dal degrado che ha trovato. Tanto più che è siciliano per parte di madre, benché quella terra l’abbia frequentata poco.
Poi si parla di arte e di musei, di quel che c’è a Foggia, di quel che sta facendo lui che, oltre ad essere autore, è architetto e regista. Sta curando un’importante mostra di arte contemporanea per i 25 anni dall’assegnazione ad Alberobello del titolo Unesco di patrimonio dell’umanità. Nomi importanti, produzione site-specific e tanto altro. Poi chiede: E a Foggia cosa c’è di arte contemporanea? Gabriella gli parla della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo Dogana. Io della galleria del mio amico Paolo Erbetta, prima a Foggia poi a Berlino, ora né lì né qui – ma lui sempre in movimento come una vena carsica ogni tanto riaffiora e mi dice: Vorrei farti vedere un bel lavoretto. E sono sempre cose preziose che acuiscono le mie frustrazioni di collezionista senza soldi.
Poi gli dico dello spazio Beuys inaugurato da pochi anni proprio nella Galleria di Palazzo Dogana per merito di alcune anime elette… (cerco di frenarmi) … che hanno tentato di porre rimedio… a un guasto… so che ora dovrei tacere, mi mordo la lingua ma non ce la faccio e allora lo dico: Noi foggiani con Beuys abbiamo fatto peccato mortale. Vedo di sguincio il suo sguardo interrogativo e riferisco quel che a Foggia sappiamo in tanti e che è documentato dalla testimonianza di Michele Buonuomo nella prefazione del testo su Beuys di Heiner Stachelhaus edito da Johan & Levi e che qui riporto testualmente.
«Era il Beuys politico che parlava, lo stesso che poi avremmo visto fra i fondatori del partito tedesco Grünen (i Verdi) e che impressionò fortemente noi giovani di allora, impegnati con sana incoscienza a “portare l’attacco al cielo”. E in Italia aveva scelto Napoli per lanciare il suo programma politico di “scultura sociale”. Napoli divenne la sua città elettiva, il Mezzogiorno d’Italia la sua nazione e Foggia la capitale. Alla città pugliese era rimasto legato sin dalla Seconda guerra mondiale quando, giovane mitragliere della Luftwaffe in attesa di essere spedito al fronte, aveva avuto modo di esplorare i paesaggi del Gargano e di conoscere una terra e delle genti che lo rassicuravano. Foggia era il luogo in cui tutto era necessariamente felice (Die Leute sind ganz prima in Foggia recita il titolo di una sua storica edizione pubblicata nel 1973 da Lucio Amelio, Giorgio Marconi e Klaus Staeck). Uno degli ultimi desideri dell’artista fu quello di donare tutta la sua collezione alla città per farne un museo: per insipienza degli amministratori di allora, e per somma gioia dei suoi galleristi, il progetto non andò mai in porto.»
Francesco Carofiglio è un signore, non fa commenti. A me sanguina il cuore, come a lui quando parlava della Sicilia. In macchina per un po’ cala il silenzio. Ognuno si tiene il suo dolore. Poi attacchiamo l’ultimo strappo per Candela.
A Palazzo Ripandelli la serata è splendida. Tutto funziona a meraviglia. Pubblico raccolto, massima attenzione. Aria mite e cielo sopra di noi un incanto. I pensieri possono correre liberi e accompagnare in silenzio le parole. Quando intervengo dico che fra i tanti pregi del romanzo c’è anche l’alta, ricchissima quota informativa. Offrire elementi di conoscenza fa la differenza, è “il valore aggiunto” di un romanzo (dico proprio “valore aggiunto” come quelli bravi quando parlano di soldi). Tensione narrativa, emotiva, sentimentale sono “il minimo sindacale” (a ridaje) per andare avanti nella lettura, poi però 200-300 pagine ti devono offrire il piacere di qualche parte della realtà e del mondo che non conosci e scopri.
Concludo: Le nostre vite è un romanzo interattivo. Lo leggi e devi andare al computer per aprire i link che ti porge. Io, per esempio, fra altre tantissime cose, a pagina 107 ho scoperto Chandigarh, la giovanissima città indiana, conosciuta come The City Beautiful anche perché disseminata da opere di Le Corbusier. Chandigarh ha la più alta concentrazione di opere di Le Corbusier al mondo. Fra loro, la maestosa Mano Aperta (Le Main Ouverte): «Questo segno della Mano Aperta per ricevere ricchezze create, per distribuirle ai popoli del mondo, deve essere il segno della nostra epoca». È il simbolo della città: 26 metri di lamiera su un piedistallo in calcestruzzo, tanto leggera da ruotare con il vento.
L’aria è mite e il cielo sopra di noi un incanto. I pensieri vanno e vengono per conto loro, attraversano le parole senza disturbarle, come le nuvole il cielo. Dico Chandigarh, Le Corbusier e penso Foggia, Beuys. E penso che oggi avremmo potuto avere in giro per la città The pack con il furgoncino Wolkswagen e gli slittini che scappano, i massi di Olivestone, il pianoforte ricoperto di feltro di Infiltration homogen, la Sedia con grasso e chissà che altro in un vero e proprio museo a cielo aperto.
Poi Francesco Carofiglio parla di sogno lucido. Nel romanzo ci sono vari capitoli di trascrizione dei propri sogni da parte del protagonista. Dice che sul sogno lucido ormai c’è un’importante letteratura scientifica, tecniche e pratiche consolidate, riferimenti anche in rete. Mentre lo dice, penso: stasera me le vado a leggere, queste tecniche, e ci provo, a ricostruire Foggia in sogno, a rifarla come la voglio io, con le opere di Beuys disseminate qui e là. Foggia è troppo bella e di così antico lignaggio che non può sopportare ancora a lungo quello che le stiamo facendo. Prima o poi si ribellerà e ci manderà tutti al diavolo, noi foggiani. Perciò io stanotte in un sogno lucido mi faccio un Comitato di Resistenza Estetica per la Rivoluzione della Bellezza.
E che cavolo, a Napoli hanno trasformato ogni stazione della metropolitana in una giostra o stanza dei giochi (“La scrittura è la mia stanza dei giochi”, ®Francesco Carofiglio). E allora? Non è impossibile ciò che è stato fatto. Almeno in sogno.
Joseph Beuys è nato a Krefeld il 12 maggio 1921 ed è morto a Dusseldorf il 23 gennaio 1986. È sempre stato legato alla nostra terra che conobbe al tempo della seconda guerra mondiale quand’era mitragliere della Luftwaffe. Nel marzo 1944, durante una missione sul Fronte orientale, l’aereo su cui volava si schiantò al suolo. Ha sempre sostenuto di essere stato salvato dall’intervento di un gruppo di nomadi tartari che, trovatolo moribondo, lo curarono facendo ricorso alle antiche pratiche della loro medicina. Tale esperienza è all’origine della sua ricerca di un’armonia superiore tra uomo e natura. È stato tra i fondatori del movimento artistico Fluxus e del partito dei Verdi in Germania. Celebri le sue affermazioni: «Ogni uomo è un artista», «La rivoluzione siamo noi». È unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi artisti del Novecento.
In apertura: Joseph Beuys, 1985, Prendi Foggia sul serio, ne vale la pena 2
1980-Andy Warhol e Joseph Beuys alla mostra Terrae Motus di Lucio Amelio
Joseph Beuys, 1969, Installation “The pack” (Das Rudel), 24 sledges and a VW bus Staaliche Museen Kassel, Neue Galerie