Scrivere è un corpo a corpo con se stessi. Si sente dire spesso. Bene. Quel luogo a me proibitodi Elisa Ruotolo è una riconquista del proprio corpo. Un tentativo, almeno. La storia è semplice. Potremmo dire, la storia di un amore. Ovviamente c’è tanto altro. Prima di tutto molta poesia, ovvero una qualità espressiva di tale raffinata precisione e densità introspettiva che è quasi una musica, di dolente ma caparbia e sensuale vitalità.

La protagonista, che racconta in prima persona, ha quarantadue anni, è insegnante, vive con la mamma e la sorella in un Meridione povero e per certi versi ancora arcaico. Più che altro dimesso, in tutti i sensi. La dignità è la rinuncia, prima di tutto all’ambizione di capire e assecondare i propri desideri. Il sesso una colpa, quanto meno un pericolo, da schivare, per esempio alzandosi e cambiando canale quando da bambina in televisione un film lasciava presagire un bacio o qualcosa del genere. La famiglia un nodo, che soffoca. L’aiuto reciproco un ulteriore peso. Il proprio corpo un luogo proibito, «un animale da tenere a bada… Non ero mia».

Poi l’amore, tardivo e improvviso. Abbacinante, in una vita finallora in penombra. Lui, Andrea, cinquantenne, la vita invece l’ha sempre sfidata, rifuggendo ogni certezza per non negarsi mai la luce di nuove occasioni. Andrea chiede fiducia e un totale abbandono. Riuscirà la protagonista ad aprirsi a quell’amore anche carnale che Andrea ha acceso in lei? «Un morso alla volta mi fece scoprire la fame… Amore era questo: una vulnerabilità più grande… La mia vita si spaccò in due e ogni metà implorava di essere vera».

Esistiamo prima ancora di nascere. Nel groviglio di pulsioni contrapposte della protagonista c’è la storia della sua famiglia: «Quando sono nata io, s’erano già disseminate molte infelicità lungo i rami della famiglia… Ero qualcosa di non nato, di non finito, in questa disarmonia ho provato a costruire i miei ricordi, abitando molto meno quello che ho vissuto e più volentieri certe storie di famiglia».

Il nonno paterno, per esempio, s’era macchiato della «vergogna» d’aver infranto la sua «onorata» condizione di vedovo unendosi «di fatto con una donna diventata poi un’ombra nella genealogia familiare… e piegata fino alla curva più vertiginosa dell’infelicità». La nonna materna, «testa calda», aveva deciso, invece, di crescere senza marito la propria figlia e «prendeva dalla vita tutto quello che ancora desiderava, come se lo divorasse». I genitori, forse, non erano mai stati «l’uno alla ricerca dell’altra», legati piuttosto da un «bisogno reciproco basato solo sulle necessità quotidiane».

Le amicizie lasciano un segno, soprattutto quelle dell’adolescenza. Per la nostra protagonista, con i suoi comportamenti di istintiva e irriverente socialità, Nicla, fra i banchi di scuola, era un’istigazione alla libertà. Poi le due donne si ritroveranno, in età matura, ad un corso serale, l’una insegnante, l’altra studentessa, l’una con dalla sua i libri, l’altra la vita, e non si sa bene chi abbia da imparare da chi.

«Alla maniera di ogni bambino, ero nata credendo di essere Dio… sarei rimasta piccola e immortale, l’avvenire un sogno da cui mi sarei svegliata ogni mattina»: con la sua inesausta e tormentata fame di pienezza e d’amore la protagonista di Quel luogo a me proibito di Elisa Ruotolo ci ricorda la principessa esule in terra straniera di Passaggio in ombra di Mariateresa Di Lascia. E ci commuove allo stesso modo.

 

Elisa Ruotolo, Quel luogo a me proibito, Feltrinelli, 2021