Carolina va alla guerra, e l’addomestica. Proprio così: organizza casa (e bottega) per far fronte alla tempesta. 5 maggio 1938, La sartoria di via Chiatamone, romanzo d’esordio di Marinella Savino, comincia da qui. Quel giorno lì Hitler è in visita a Napoli con tanto di codazzo di re, duce e manovre navali nel golfo. «’A città er’ stat’ tutt’ annuccat’ a fest’». Al contrario che ad altri – giulivi, garruli, pigri, increduli o indifferenti – quella boriosa e proterva esibizione muscolare basta a Carolina per capire che la guerra è vicina e che, quindi, è urgente mettere al riparo i propri cari: marito e cinque figli, una femmina e quattro maschi, tutti ragazzini.

  • Punto primo, il cibo. La guerra è fame. Carolina acquista di tutto e stipa ogni cosa in cantina: «Macarun’, innanzitutto… E farina, per il pane, le pizze, la pasta fatta in casa e ‘e strangulaprievt. La sugna… ne squagliò più di una macelleria… passò pure all’olio, ne raccolse quasi tre quintali… quattro quintali di legumi secchi: fagioli, lenticchie, ceci, piselli…». Quando poi i soldi non bastano più per comprare scorte, decide di vendere l’anello di fidanzamento e, naturalmente, riesce a far accettare quel sacrilegio al marito.

Carolina, infatti, è carattere forte. Ciò che vuole può. L’etimo del suo nome è «donna libera» e lei lo fu, a dispetto dei tempi che non ammettevano tale possibilità, ma della sua testa Carolina fu sempre padrona assoluta e, nonostante le difficoltà, artefice del proprio destino. Per esempio, volle essere sarta assecondando il proprio talento, e divenne la più brava della città. Era già trentacinquenne e decisa a rimanere libera ma quando vide Arturo e la sua bellezza fatta di eleganza, garbo e semplicità subito si innamorò e lo sposò. Poi per tutta la vita lui le diede il voi, lei lo chiamò don Arturo e sempre si amarono come e più del primo giorno.

  • Quella tra Carolina e Arturo è una storia d’amore straordinaria ma Marinella Savino la racconta così bene che la senti a portata di mano, come una possibilità quotidiana, di ciascuno di noi. Allo stesso modo, tu che leggi senti a te vicina quella fitta rete di affettività e solidarietà che è il cuore pulsante del romanzo e che infine è più forte della violenza fascista e del martirio delle bombe anglo-americane. Napoli si liberò dai tedeschi, che volevano ridurla a ferro e fuoco e che arretrando avrebbero dovuto lasciare solo cenere e fango, grazie alla forza dirompente di quel sentimento fraterno di dignità tenuto vivo come una fiaccola da persone quali Carolina, la sorella Luisella, l’amica Irene e i tanti altri personaggi di questo romanzo di popolo.

Marinella Savino è nata a Napoli e vive a Roma. La storia della sartoria di via Chiatamone le appartiene anche per ragioni familiari. In una nota conclusiva dice, fra l’altro, di aver conosciuto Carolina. Nel romanzo, comunque, ha ritrovato o riconquistato la lingua madre napoletana. La sartoria di via Chiatamone è innervato da una forte espressività dialettale (non solo parole ma locuzioni e interi dialoghi) che dà brio alla narrazione, stempera la drammaticità dei fatti e arricchisce la bellezza di una grande rappresentazione  di Napoli e della sua umanità.

 

Marinella Savino, La sartoria di via Chiatamone, Nutrimenti, 2020