Ma Stilfs è la vita o «è la fine della vita»? Ha ragione il sig. Midland, l’Inglese che in quel paese d’alta montagna secondo lui «il luogo più ideale» si reca una volta all’anno per far visita alla tomba della sorella, o hanno ragione i quattro fratelli (tre di sangue e uno di fatto) che lì ci vivono e in fin dei conti quel posto lo amano ma non lo ritengono affatto né per loro né per nessuno «un luogo ideale bensì micidiale»? Stilfs è Stelvio, 1.1310 sul livello del mare, Val Venosta, provincia di Bolzano. A Stilfs «la montagna regna sovrana come natura assoluta».

Midland a Stilfs è il primo di tre racconti del 1971 di Thomas Bernhard (gli altri due sono Il mantello di Loden e Sull’Ortles. Notizie da Gomagoi) e dà il titolo al volume che li raccoglie, appena pubblicato in Italia da Adelphi, traduzione di Giovanna Agabio.

  • Midland a Stilfs è un gioiello. Con parole acuminate e perfetta discorsività Bernhard ci mette a tu per tu e ci obbliga a confrontarci con quei dubbi ordinari sul significato della vita che sono il fastidioso, persistente e inespresso rumore di fondo della nostra quotidianità. Difficile, infatti, non riconoscersi nella tempestosa conflittualità sentimentale che tormenta i quattro fratelli e li contrappone aspramente e al tempo stesso li unisce in morbosa ammirazione al signor Midland, uno dei «rarissimi» visitatori che li rendono «felici», gli altri sono solo «vandali».

Per esempio, il signor Midland dice che «tutto quello che ha fatto sinora si è impantanato in partenza» perché la vita nelle grandi città «soffoca nell’imbecillità» e che «Nella massa, il logorio è totale!». Se fosse vissuto a Stilfs, invece… Ma quanto ci condiziona l’ambiente? Come e perché svaniscono nel nulla sogni e progetti? Silenzio e concentrazione favoriscono gli studi o abbruttiscono?

Più di ogni cosa, in realtà, ineludibile, su ognuno grava il suo passato: «tutto ciò di cui siamo fatti è passato, morto». I quattro fratelli di Stilfs sono consapevoli della propria inadeguatezza, si sentono schiacciati dall’importante tradizione familiare ma non vogliono né possono sottrarsi a quell’impegno di custodi della memoria che sovrasta le loro vite come un monolite: «lo stesso presente, in quanto è, com’è naturale è morto, ma tiene occupati noi tutti, tiene occupati tutti gli esseri umani in modo esclusivo».

Altrettanto perniciosa è, però, l’intelligenza mobile e versatile, la mente colorata di Midland. «Se si fosse limitato a un settore, a una scienza, da tempo avrebbe potuto fare della ragione qualcosa di portentoso». L’Inglese, invece, sedotto dalla modernità, s’aggroviglia nel labirinto della sua complessità: «È una persona che deve continuamente mettere tutto in relazione con tutto e trarre sempre da tutto conclusioni su tutto». E dunque, che fare?

Nel secondo racconto, Il loden, la forza del passato irrompe casualmente nella vita del protagonista provocando in essa un blocco quasi ipnotico. La storia è ambientata a Innsbruck nella Saggengasse, dove vivono e lavorano i due protagonisti che però non si sono mai incontrati prima. Per via del particolare rivestimento di pelle degli occhielli, l’avvocato Enderer, vedendolo, immediatamente pensa che il loden del signor Humer, rivoltosi a lui per una controversia familiare, sia proprio quello appartenuto a suo zio. È l’inizio di un perturbante e quieto vortice narrativo che ha anche tinte gialle.

Sull’Ortles, come per Petrarca nell’Ascesa al monte Ventoso, «l’impresa fantastica» di salire nel segreto più assoluto da Gomagoi alla malga in alta quota lasciatagli trentacinque anni prima in eredità dai genitori è per chi racconta un immergersi insieme al fratello nelle profondità di se stessi e della propria storia professionale e familiare fino ad evocare anche nella materialità delle voci gli incubi di un’infanzia e una vita «per punizione». Acrobata l’uno, studioso l’altro degli strati superiori dell’atmosfera, in comune la stessa follia di sfidare difficoltà crescenti per osare la perfezione, a dispetto del «mondo circostante, che in cambio ci ha punito con il suo totale disinteresse».

La scrittura di Thomas Bernhard è un’acrobazia negli strati superiori della letteratura, una vertigine che ti lascia senza fiato. Midland a Stilfs è una spietata e inaccessibile «scuola del respiro… bisogna saper respirare nel modo giusto per il lavoro, per il lavoro intellettuale che ci si propone di fare, che si fa, disse, il respiro è tutto, nulla è importante come il respiro».

Thomas Bernhard, Midland a Stilfs, Adelphi, 2020