Non sono mai solo parole, certi libri. Appia di Paolo Rumiz, per esempio, è 612 chilometri, 29 giorni di cammino e circa un milione di passi. Con altri tre compagni di viaggio, infatti, nel giugno dello scorso anno Paolo Rumiz ha ripercorso l’antica strada consolare romana. Appia, quindi, è prima di tutto la cronaca di quel cammino, ma non solo. Appia è un impegno civile di riconquista e restituzione all’uso pubblico di un pezzo di bellezza. Un progetto di recupero, un combinato disposto che insieme al libro ha visto la produzione di una mostra fotografica e un documentario a cura del regista di origini foggiane Alessandro Scillitani.
Prima dell’avventura di Rumiz e dei suoi compagni l’Appia, capolavoro ingegneristico voluto nel 312 a.C. dal cieco Appio Claudio, era a tutti gli effetti un bene perduto e rischiava di diventare nel nostro immaginario come l’isola non trovata di Gozzano, poi cantata da Guccini: qualcosa che talvolta appare in lontananza, s’annuncia con il profumo come una cortigiana ma se il pilota avanza rapida si dilegua come un’idea, come una splendida utopia… e ciò a causa dell’incuria, della devastazione e dei saccheggi degli ultimi cinquant’anni, soprattutto.
Ora, invece, l’Appia è tornata con firma sugellata. Il suo tracciato è stato mappato, ed essa nel libro di Rumiz riappare, bella più di tutte, con la sua perfezione di linee rette, in ogni tratto fiera e dritta per la via più breve: un filo a piombo da Roma fino a Brindisi, per unire il Sud alla capitale e aprire questa al mondo e alla civiltà greca d’oltremare. Di fatto, l’A1 dell’antichità.
Appia di Rumiz è, perciò, anche un viaggio nel tempo, attraverso i duemilatrecento anni di Storia che quella via hanno calcato. Altro che le suggestioni del cammino di Santiago o della via Francigena, dice l’autore. Appia è tante pagine veementi di passione in cui senti l’eco dei passi cadenzati delle legioni romane, quelli di Orazio che la racconta nella quinta satira (all’origine dell’ossessione giovanile che ha poi portato Rumiz a questo viaggio), senti il dolore del martirio di Spartaco e dei seimila gladiatori crocifissi con lui lungo quella via, rivivi l’epopea di Arabi, Normanni e poi quella di Federico II.
L’Appia – sottolinea, quindi, Rumiz – rompe «lo schema fisso che equipara cammino e pellegrinaggio… è l’unico cammino in Europa percorso in entrambi i sensi di marcia… che racconta due grandiose storie parallele, una soprattutto per i laici e un’altra per i cercatori del Sacro». «Viandanti», non pellegrini, chiama, quindi, Rumiz se stesso e i propri compagni di viaggio.
Restituire l’Appia al suo splendore materiale e simbolico significa riproporre quella koinè comune che unì il Mediterraneo al tempo dei Romani quando «le terre oggi emarginate del Sud erano il cuore della Penisola e attraverso loro passava l’asse di penetrazione dell’Italia in un “Mare nostrum” che oggi più che mai chiede ascolto e controllo».
Corredato di schede tecniche per ciascuna delle ventinove tappe: Appia è un libro da leggere, un viaggio da fare… perché l’Appia non è l’sola non trovata.
Paolo Rumiz, Appia, Feltrinelli, 2016