George Steiner, figura di primo piano nella cultura internazionale, è uno di quei pochi umanisti che riescono ad affermare e difendere senza alcuna retorica conservatrice una concezione alta della letteratura: classicista, etica, austera ma, al tempo stesso, ammaliante e innovativa. Straordinariamente moderna. Provocatoria.

In una lunga e vivace intervista al produttore e giornalista di France Culture Antoine Spire, pubblicata dalla casa editrice Nottetempo con il titolo La barbarie dell’ignoranza, Steiner, per esempio, ricorda di essere stato educato da suo padre, sin da fanciullo, alla consapevolezza che: «La cosa eccellente deve essere difficile». Perciò – egli sottolinea – nel suo processo di formazione fatica e piacere sono sempre stati direttamente proporzionali: ogni conoscenza una dura conquista ma il successo conseguente «un immenso riso di gioia».

Così come parlare un’altra lingua: «una meravigliosa vacanza», sostiene Steiner, che a sei anni già traduceva l’Iliade dal greco e da sempre tiene lezioni in tutto il mondo indifferentemente in francese, inglese, tedesco e ora anche in italiano. «Le lingue sono le gambe degli uomini», dice Steiner, e il mondo nient’altro che la somma delle varie letterature.

In esse è tutto, il bene ma anche il male di cui siamo capaci. La letteratura e l’arte, dunque, sono corresponsabili di tragedie storiche come l’olocausto. Il nazismo è sorto nel cuore dell’Europa, l’antisemitismo non è stato solo una faccenda tedesca. Nato a Parigi nel ’29 da genitori ebrei che avevano lasciato Vienna ai primi sentori di persecuzioni razziali e che poi abbandonarono la capitale francese poco prima dell’invasione tedesca, l’opera di Steiner (compresa l’intervista a Spire) è un continuo errare lungo la linea di confine delle compromissioni culturali dove lo splendore e la potenza della parola si aprono alle tenebre della barbarie.

La pace è noiosa, la violenza eccitante; nel nostro cervello è ancora preponderante la parte «bestiale, animale, territoriale, piena di paure, irrazionalità, istinti omicidi». La cultura e la civiltà – dice Steiner, riprendendo Freud – sono come «la crosta di un vulcano»: non resistono a pulsioni profonde di distruzione e sadismo. Ancor più da quando – con Wittgenstein e Heidegger – il pensiero filosofico contemporaneo ha cancellato l’uomo dal proprio orizzonte di riflessione.

«Talvolta si ha l’impressione che, per Heidegger, l’ideale sia il pianeta vuoto nel sole greco del mattino! Ed è estremamente pericoloso, come lo è il grande libro di Platone, Le leggi… la volontà generale di Rousseau… La fine della storia in Hegel… Il grande pensiero è sempre pericoloso. Non si pensa senza fornire ostaggi all’errore.»

Né – sostiene Steiner – è possibile umanesimo o grande arte «in una civiltà dell’aleatorio e del dubbio fondamentale e totale», senza trascendenza e scommessa alcuna sull’esistenza o meno di Dio, «il creatore ultimo e definitivo» del quale fino a ieri l’artista si sentiva «rivale o servitore».

Mimesi ed elitarismo sono le antiche sirene della raffinata concezione estetica di Steiner. Chi vuole andare in mare aperto deve vincere il loro canto dimostrando che «il rap vale il jazz» (ovvero: anche dalla strada può nascere l’arte) e che nell’era dell’ottundimento mediatico è ancora possibile una democratizzazione dell’alta cultura.

Noi siamo con chi prova a fare ciò e poi slancia la propria parola insieme a quella della matematica e delle scienze nelle grandi sfide del nostro tempo («la creazione artificiale della vita, i buchi neri e i limiti dell’universo, la neurochimica della coscienza). Steiner è un gigante, bisogna salire sulle sue spalle e guardare oltre. Grazie, George.

 

George Steiner, La barbarie dell’ignoranza, Nottetempo, 2005

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