C’è felicità anche nella mediocrità: una sorta di equilibrio termico fra sé e il mondo a temperature bassissime, prossime allo zero.

È uno stato d’animo inerte e torbido, ma compiaciuto di sé in maniera inversamente proporzionale al proprio dinamismo, e perciò rancoroso e aggressivo nei confronti di ogni minaccia, reale o presunta, di destabilizzazione.

  • Simenon è un etologo, i suoi romanzi sono altrettanti studi sull’animalità della natura umana. Delitto impunito è un caso esemplare. È stato scritto nel 1954 nella tenuta di Shadow Rockfarm, un villaggio del Connecticut (Usa). Questa nuova edizione Adelphi si avvale dell’ottima traduzione di Simona Mambrini.

Liegi, secondo decennio del Novecento, la signora Lange affitta alcune camere della propria casa. Quattro. Una dimora modesta. Studenti. Élie ci vive da tre anni. È quello che è lì da più tempo. Viene da Vilnius, in Lituania. Deve conseguire un dottorato in matematica, disciplina nella quale eccelle.

Non è bello: zazzera rossiccia e crespa, labbra carnose e occhi sporgenti che lo fanno somigliare a un rospo. È tanto povero da non potersi permettere di riscaldare la propria stanza. È estemamente permaloso. Non accetta alcuna offerta d’aiuto. Non vuole sentirsi in debito con nessuno.

La casa della signora Lange è la sua tana. Il meticoloso e reiterato grigiore della sua quotidianità gli dà sicurezza. Non ha ambizioni né sogni. Né lo scuotono memorie o affetti. Non può permettersi il biglietto per un viaggio a casa, ma in realtà non ha alcuna voglia di tornarci, neppure per qualche giorno. Ricorda i suoi, anche la madre, con sbiadita indifferenza. Ha talento per la matematica ma nessun vero entusiasmo o progetto professionale. Gli piace Louise, la figlia della signora Lange, ma non pensa né ha voglia di corteggiarla. Gli basta la sua presenza in casa per considerarla sua, naturalmente a totale insaputa della ragazza. Il suo ideale è una calma piatta in cui ogni cosa o persona resti per sempre com’è. Impossibile. La vita è cambiamento. È inarrestabile. Imprevedibile. Infatti…

Un giorno alla porta della signora Lange bussa Michel. C’è una camera sfitta. Appena lo vede Élie capisce che niente sarà più come prima. Ventidue anni, figlio di un’agiata famiglia romena, capelli scuri e lisci, occhi neri, carnagione olivastra: Michel non è solo bello e ricco, è anche gioviale e simpatico. Ha una grazia accattivante, dimessa e sfrontata al tempo stesso. È pieno di amici e di affetti. Viscerale quello della madre che gli scrive lettere commoventi. Michel conquista subito tutti. Ha fame di vita. Offre anche ad Élie la sua amicizia ma questi la rifiuta, ossessionato dall’idea di aver perso nella casa la propria immaginaria centralità di veterano. Élie vede in frantumi la vacua ritualità dei suoi giorni.

Poi accade l’inevitabile: Michel e la schiva e fuggitiva Louise fanno sesso. Élie una sera li vede baciarsi. Poi comincerà a spiarli a letto dal buco della serratura. Michel se ne accorge e lo provoca. Per Élie è insopportabile che qualcuno abbia quell’amore e quel piacere che lui non ha mai cercato e che neppure sa bene se vuole o meno. Élie vorrebbe inchiodare la vita al grado zero della sua temperatura sentimentale.

  • Il nostro retaggio animale è un fondo oscuro, imperscrutabile, che detta comportamenti illogici, reazioni coatte. Élie agisce con la stessa, implacabile, ottusa e ansiosa determinazione di un animale braccato che ritiene minacciata la propria sopravvivenza. La sua tana è stata invasa. Uccidere Michel è una questione di giustizia. Lo farà davvero? Ci riuscirà? Oppure ritroverà un barlume di razionale umanità? Il romanzo è scandito in due parti, nettamente distinte: un crescendo emotivo, fino all’ultima parola.

Uno scienziato fa esperimenti in laboratorio, Simenon sulla pagina. La sua grandezza di maestro è nel rispetto dei fatti e del limite. Simenon non ha pudori, non ha pietà e non tira conclusioni perché sa che non ce ne sono. Certe azioni, tante, non hanno spiegazioni. Accadono. Punto. E lui non ha tempo da perdere. Deve raccontarne il maggior numero possibile. Ottanta pagine al giorno. Ogni giorno. Per il nostro piacere masochistico di scoprire ogni volta quanto siamo bestie noi esseri umani.

Delitto impunito, pagg. 43-44

Lo stupì vedere il suo interlocutore così affranto. Che non lo coinvolgessero maggiormente nella vita in comune sembrava essere una grande delusione per Michel.

La sua domanda spiazzò Élie.

«Io non le piaccio, vero?»

E, dato che l’altro non sapeva cosa replicare:

«Sento che non vuole essere mio amico».

Faceva quasi buio ormai, e il foro ovale della stufa brillava con maggiore intensità.

«L’ho capito l’altro giorno, quando ha rifiutato di venire in città con me».

«Tranne quando devo vedere il mio relatore, non vado mai in città».

«Perché?».

«Perché sono povero».

Adesso stava a lui parlare, anche se suo malgrado la voce gli tremava.

«E poi preferisco starmene per i fatti miei, nel mio angolino. Non ho bisogno di nessuno».

Lo irritava che l’altro lo guardasse con curiosità, come se non gli credesse.

«Non ho mai avuto bisogno di nessuno, nemmeno dei miei genitori».

È inutile farsi delle illusioni per scoprire un bel giorno che, per quanto se la racconti, l’uomo è solo nella vita.

«È infelice?».

«No».

«Non ama il suo prossimo?».

«Non più di quanto lui ami me».

«Non ha mai amato nessuno?».

«Nessuno».

«Neanche una donna?».

Élie ebbe un attimo di incertezza.

«No».

Gli era balenata in mente l’immagine di Louise, ma in tutta franchezza non credeva di amarla. Accanto a lei si sentiva bene, senza per questo avvertire il bisogno di rivolgerle la parola. Era la sua presenza ad avere un che di dolce, di rasserenante. Faceva parte della casa. Ai suoi occhi Louise incarnava la casa ed entrambi avrebbero potuto viverci, trascorrervi l’intera esistenza, al riparo dal trambusto esterno.

Georges Simenon, Delitto impunito, Adelphi

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