MANIAC – titolo del nuovo libro di Benjamín Labatut – è l’acronimo di Mathematical Analyzer, Numerical Integrator And Computer. Una macchina così Turing l’aveva sognata in un articolo del 1937: un calcolatore universale che potesse risolvere qualunque problema matematico gli venisse presentato in forma simbolica replicando su carta gli stati interni della mente. «Geniale ma incredibilmente astratto».

A dare concretezza e fruibilità operativa a quell’idea fu von Neumann nel 1951. Con i soldi dei militari. Il primo uso del MANIAC, infatti, furono i calcoli per la bomba termonucleare, Ivy Mike, poi fatta esplodere nel ’52 nell’atollo di Enewetak nell’Oceano Pacifico. Una potenza cinquecento volte superiore alle bombe usate in Giappone. Oppenheimer si oppose. Eisenhower se ne pentì. «L’isola di Elugelab fu vaporizzata dall’esplosione. Scomparve completamente, cancellata dalla faccia della terra insieme a ottanta milioni di tonnellate di corallo e rimpiazzata da un cratere profondo come un palazzo di diciassette piani.»

La più creativa e la più distruttiva delle invenzioni umane comparvero esattamente nello stesso momento. Il meccanismo logico del MANIAC ideato da von Neumann e usato per i calcoli della bomba è lo stesso dei computer di oggi. «Non è cambiato un bit. Meravigliosamente semplice. Software, hardware e RAM. Riprogrammabile. Un pianoforte a coda, non un carillon con un’unica melodia. Solo cinque parti. Meccanismi di input e output e tre unità: una per la memoria, una per la logica e l’aritmetica, e l’unità di conrollo – la CPU».

Quando gli parlava del MANIAC, i militari pensavano alla bomba termonucleare e sbavavano. Il segretario all’Aeronautica, Thomas K. Finletter: «Dateci quell’arma e domineremo il mondo». Von Neumann pensava ancora più un grande: «Voleva matematizzare ogni cosa. Innescare rivoluzioni nella biologia, nell’economia, nella neurologia e nella cosmologia. Trasformare ogni area del pensiero umano e afferrare la scienza alla gola scatenando un potere di calcolo illimitato».

Benjamín Labatut, MANIAC, Adelphi, traduzione di Norman Gobetti. Bomba atomica e termonucleare, informatica e Inteligenza Artificiale: MANIAC racconta la sfida della scienza del Novecento ai limiti della conoscenza. Racconta, dunque, di matematica e fisica e del loro innesco della tecnologia verso un sogno o delirio di onnipotenza in bilico sul baratro dell’autodistruzione della specie. Ehrenfest, Hilbert, Cantor, von Neumann, Feynman, Bigelow, Barricelli, Gödel. MANIAC, libro stupendo. Appassionante, imperdibile. Per tutti.

Un punto cruciale del racconto di Labatut è la sfida a go fra il campione mondiale Lee Sedol, la Pietra Forte, maestro di go 9° dan, coreano, e AlphaGo, il programma di Intelligenza Artificiale della DeepMind di Demis Hassabis. 10 marzo 2016. Centomila persone collegate al canale Youtube dell’evento. Sessanta milioni di spettatori sintonizzati sui sette canali televisivi cinesi, giapponesi e sudcoreani che trasmettono la diretta.

Il go è un gioco nato in Cina ed è giocato ininterrottamente da più di 3.000 anni. Per molti è un’arte. Feynman: «Sembra facile, per imparare le regole bastano cinque minuti. Si tratta solo di posare pietre bianche o nere su una griglia quadrata, per circondare le pietre dell’avversario e controllare un territorio il più grande possibile. Sembra facile, invece è di una difficoltà pazzesca, molto, molto più degli scacchi». Per dire: negli scacchi, dopo le prime due mosse, ci sono quattrocento combinazioni possibili; nel go centotrentamila. A Los Alamos gli scienziati che lavoravano alla bomba atomica ne erano quasi tutti dipendenti. Feynman faceva soldi con le scommesse. Von Neumann perdeva sempre, s’accaniva e rilanciava: dovettero vietarglielo e far sparire le tavolette.

Scorro le parole che raccontano la partita di Lee Sedol e penso ad Alicia in Stella Maris di Cormac McCarthy. Penso ad Alicia che ha fra le mani un violino Amati (solo sedici esemplari al mondo, costruiti fra il 1564 e il 1574) e piange di commozione per la bellezza di quello strumento, piange e non riesce a suonarlo, piange e dentro di sé incantata ripete quel verso dell’Amleto: Che capolavoro è l’uomo…

Sì, proprio un capolavoro… Un capolavoro che al culmine del suo splendore ha creato una forza bruta di calcolo insensibile ai sentimenti e alla bellezza, ottusamente protesa con logica sequenziale a un unico obiettivo. Millenni di civiltà per forgiare e scatenare «un avversario spietato e incapace di provare un qualunque sentimento. AlphaGo non esitava e non aveva ripensamenti. Era immune dalla stanchezza. Non dubitava di se stesso. Non si preoccupava dello stile e della bellezza… non si preoccupava di cosa pensassero e provassero gli altri; si preoccupava solo di vincere». Come se noi umani vivessimo solo per sopravvivere. Noi che abbiamo fatto di tutto per vivere in vita più della vita stiamo consegnando il nostro patrimonio di conoscenze a chi di tutto questo se ne frega… È logico? È sensato? Con quali conseguenze?

Labatut: «Mentre un giocatore umano, per compiere le proprie scelte sulla scacchiera, usa la memoria, l’esperienza il ragionamento astratto di alto livello, il riconoscimento di schemi ricorrenti e l’intuizione, un motore scacchistico non comprende affatto il gioco, ma si limita ad impiegare la sua potenza di calcolo». Lee Sedol: «Nel go c’è una bellezza che le macchine non sono in grado di comprendere». Noi umani siamo schiavi della complessità, prigionieri della bellezza. Questo il nostro privilegio. Questo il nostro limite. «La bellezza fa promesse che non può mantenere… ha il potere di suscitare un dolore inaccessibile ad altre tragedie», McCarthy, Il passeggero.

IA non è Intelligenza Artificiale. È Intelligenza Pura. IA non è l’evoluzione della specie. È un’altra specie. IA apprende da sé. «Il funzionamento interno di una rete neurale artificiale è per noi quasi del tutto incomprensibile, poiché non possiamo tracciare o registrare gli innumerevoli effetti che derivano dalle quasi infinite migliorie che l’algoritmo apporta ai suoi parametri interni a mano a mano che si avvicina all’esito desiderato». Figuriamoci poi quando interagiscono fra loro diverse reti neurali.

Prima  i dinosauri, poi noi. Adesso nuovi dinosauri, più forti e feroci. Famelici, e di un’intelligenza mostruosamente superiore alla nostra. «Il progresso tecnologico sempre più rapido sembra in procinto di avvicinarsi a una singolarità fondamentale, un punto di non ritorno nella storia della nostra specie oltre il quale l’esistenza umana come la conosciamo non potrà continuare. Il progresso diventerà incomprensibilmente veloce e complicato… Il pericolo non sta nella natura particolarmente distruttiva di una specifica invenzione. Il pericolo è intrinseco. Per il progresso non c’è cura.»

Un giorno von Neumann chiese ad un amico se sapesse cosa fosse rimasto nel vaso di Pandora dopo che lei l’aveva aperto liberando nel mondo ogni male e calamità, quindi disse all’amico che proprio in fondo a quel vaso, in silenziosa e obbediente attesa, c’era Elpis, che i più considerano come lo spirito della speranza e il contraltare di Moros, lo spirito della sventura, «mentre io credo – continuò von Neumann – che una traduzione del suo nome più precisa e più corrispondente alla sua natura sarebbe “aspettativa” perché – concluse – non possiamo sapere quale sarà la conseguenza di un male. E a volte le cose più letali, quelle che hanno il potere di ditruggerci, possono diventare col tempo gli strumenti della nostra salvezza».

Speriamo che ancora una volta abbia ragione lui, il più geniale e spregiudicato scienziato del Novecento. Un dio della scienza. «I suoi contributi sono stati così fondamentali da sembrare non tanto le conquiste di un signolo uomo quanto l’esito di una tumultuosa epifania celeste

Benjamín Labatut, MANIAC, Adelphi