In tutta sincerità. Con spirito autocritico. Prendendola alla larga.
Ho letto uno dopo l’altro Uccidere un fascista di Giuseppe Culicchia sull’omicidio di Sergio Ramelli e Romanzo rosso di Pino Corrias. Non è stata una scelta, è capitato. Mi interessano i libri su quegli anni volgarmente detti “di piombo”. Per esempio, avevo già letto i due libri precedenti di Culicchia, sull’omicidio del cugino brigatista Walter Alasia (Il tempo di vivere con te) e poi quello sulla madre dello stesso, La bambina che non doveva piangere.
- Scrivendone avevo cominciato così: «La Storia è un cecchino, se ti punta sei finito». La Storia sa tutto, sempre. Sa quali cuori sono terreno fertile per le sue manovre e mossa dopo mossa li muove come le pare. Taluni li salva, altri li porta a schiantarsi contro la morte, propria e altrui. Così ha fatto nella partita che rossi e neri hanno giocato dopo il Sessantanove, negli anni della rivoluzione e delle bombe.
Sergio Ramelli, Walter Alasia e Piero Villa sono finiti tutti e tre nel mirino della Storia. Come tanti altri. Con la differenza fra loro che Walter Alasia ha ucciso, Sergio Ramelli no, chi lo ha ammazzato sì, e Piero Villa è il protagonista del romanzo di Corrias, un personaggio immaginario, ma altrettanto vero.
Confesso. È stato doloroso leggere Uccidere un fascista di Giuseppe Culicchia e vedere per giorni e giorni il viso di Sergio Ramelli sulla copertina. Non mi sono mai trovato al bivio di uno scontro particolarmente violento. Cazzotti. Risse. Niente di più. Niente sprangate, né in entrata né in uscita. Ma certi slogan contro i fascisti li ho gridati. I tre libri di Culicchia hanno definitivamente chiarito, ove mai ancora non fosse chiaro, che nessuno aveva torto o ragione, che avevamo tutti stesso entusiasmo e stessa generosità. Stessa convinzione e stessa leggerezza. Stessa rabbia e stessa presunzione. Intendo, noi, i ragazzi in piazza, con o senza passamontagna. Non gli altri, quelli delle bombe, dei servizi, delle trame, dei giochi di palazzo. Quelli viscidi acquattati nell’ombra o ai posti di comando. Quelli per cui la politica era la prosecuzione del crimine con altri mezzi. Quelli che poi la militanza l’hanno usata per scatti di carriera o scalate di potere, e già allora la intendevano così.
Sergio Ramelli era uno come me. Come Walter. Come Piero Villa. Come tanti altri coetanei. Come Benedetto Petrone, diciotto anni, scaricatore al mercato rionale, accoltellato a Bari dai fascisti nel ’77 perché – claudicante – non riuscì a sfuggire ad un agguato. Stesse illusioni, in tutti la voglia di un mondo migliore. E invece.
Maggiore è la spietata, cinica e beffarda insensatezza della Storia, più forte è la necessità di capire, quantunque vano possa risultare il tentativo. Con epica avventurosità Romanzo rosso di Pino Corrias precipita il lettore nel buco nero della violenza politica che, negli anni della cosiddetta Notte della Repubblica, della gioventù di allora risucchiò «una grande minoranza, di quelle che ogni tanto fanno la Storia», ma anche no.
- Milano, 1977. Piero Villa è un «soldato» del Mucchio. Nome di battaglia, Biondo, benché sia scuro di capelli, ma proprio per quello. Insieme a Piero, nel comitato ristretto, Nuvola, la sua ombra. Lampo, anche lui amico da sempre. Lisetta, un amore intermittente, determinata più di tutti. Falco, professore, ideologo, capo: colto, elegante, carismatico, sfuggente. E poi Norma, Ringo e Dado, Isacco e Gallo, Ascanio… Il Mucchio è un gruppo indipendente della galassia dell’Autonomia. Avanguardie di massa. I suoi militanti simpatizzano per le organizzazioni militari, tipo Brigate rosse e Prima linea, fanno politica a tempo pieno ma non sono clandestini. Attivi nelle lotte sociali dei comitati di fabbrica e di quartiere, incendiano covi fascisti e di spaccio, fanno rapine di autofinanziamento. Sono in prima fila nella guerriglia urbana.
Sono tali e tanti gli scontri e così massiccio e inebriante il coinvolgimento di simpatizzanti nelle diverse occasioni da far dire a Piero: «A Milano, nel 1977, noi compagni del Mucchio siamo i padroni della città. Siamo i padroni del giorno e della notte. I padroni del centro e delle piazze di periferia. I padroni della lotta di classe. I padroni del mondo». Un delirio. Affermazioni scandite sulla pagina con l’a capo incendiario ad ogni punto. Pino Corrias ha saccheggiato la cronaca ma i fatti storici scorrono con rigore fra le righe senza intralciare il ritmo, che asseconda con disinvoltura tanto la furia sincopata e rapinosa delle azioni quanto l’incandescenza dei cuori e delle menti di Piero e degli altri del Mucchio.
Romanzo rosso ha andamento corale e dialogico con diverse posizioni in contrasto dinamico fra loro. Sin dall’inizio. Comincia così. Cile, deserto di Atacama, oggi, e cioè più o meno mezzo secolo dopo «gli anni ruggenti di Milano». Piero Villa è lì, ai piedi del Licancabur, «anima nera del mondo, seimila metri di vulcano, fatto di strapiombi, ombre rosse striate dal vento e vertigini» e tutt’intorno telescopi di ogni parte del mondo puntati verso il cielo. Il Biondo ha fatto in modo che lì arrivasse il figlio Nelson, da lui mai visto né conosciuto. Piero vuole affidare a suo figlio Nelson i ricordi della propria vita raccolti negli ultimi anni in un manoscritto. Vuole farlo proprio lì, nel «più grande teatro del mondo, dove si incrociano così tante storie che la mia diventa irrilevante».
L’inizio sembra scolastico e scenografico, invece ha piena necessità funzionale, del tutto chiara alla fine. Il punto di vista di Nelson è agli antipodi rispetto a quello paterno. In ordine di apparizione, la prima di varie opposizioni dialettiche alla versione del Biondo. «Non volevamo cambiare il mondo, volevamo distruggerlo» «Bastava un po’ di testa per capire che era impossibile» «Infatti abbiamo fallito» «Meno male». Finirà con un abbraccio, o come? E Francesca, la madre di Nelson? Com’è andata fra lei e Piero?
Romanzo rosso è una grande storia d’amore, tanto bella che non è giusto sciuparla con anticipazioni. Solo una: un momento speciale della storia fra Piero e Francesca è una notte folle e magica del secolo scorso: Berlino, novembre 1989, la città impazzita di felicità festeggia la caduta del Muro «con il nuovo tempo scandito un istante alla volta affinché lo smantellamento del Muro potesse procedere il più in fretta possibile e insieme durare più a lungo, come accade di pensare ai bambini la notte di Natale, come accade agli innamorati la prima volta, come accade ai fuochi di artificio quando si alzano in volo e restano lassù, nella loro luce, che vorresti per sempre».
Specificità di un romanzo è mescolare storia e invenzione, ma anche interpretare i sentimenti dei vari personaggi. Questo, il vantaggio del romanzo sulla cronaca. In Uccidere un fascista Culicchia non è andato oltre i dati oggettivi, fitti e rigorosi. Inoppugnabili. Romanzo rosso, invece, leggendo nel cuore di Piero, apre un varco in un paradosso storico: come mai tanto scontento, fino a volere una rivoluzione, nella prima generazione che «mangiava tre volte al giorno, viveva in case riscaldate, senza il cesso in comune, andava a scuola»?
- Concerto di Chet Baker a Milano al Capolinea, leggendario locale jazz chiuso nel 1999. In realtà il concerto, memorabile, c’è stato nel 1983, è in vendita il cd, ma nel romanzo è nel pacchetto ’77. Piero e Nuvola non sanno neppure chi è il musicista in questione. Li porta con sé Lotus, un loro amico bandito solitario, una sorta di defaticamento o gita premio dopo un sopralluogo per una successiva azione comune. Ebbene, invece di abbandonarsi alla suggestione del momento, Piero si guarda intorno e pensa: «Borghesi accomodati dentro ai loro privilegi come fosse la cosa più naturale del mondo e non il frutto di un esproprio. Per nulla interessati a misurare le proprie ricchezze come la somma delle miserie altrui». E così di seguito. Quando poi ne parla con Nuvola, questi serafico rincara: «Ovvio, siamo al mercato del tempo libero». Lotus, invece, scoppia a ridere: «Cazzo, ma provate a godervi la vita, invece di farle sempre i conti addosso. Beviamo».
Non è giustificazionismo, ma all’origine di tanti guai c’erano cuori puri con dentro questo germe, che poi spesso – non sempre, per fortuna – è degradato in furore ideologico e violenza cieca. È stato così anche per Piero e gli altri del Mucchio? Chissà. Chi ha letto sa. Chi leggerà saprà. Di fatto, dopo lo sbaragliamento repressivo delle fila rivoluzionarie Piero in fuga sbarca in Sudamerica e finisce in Nicaragua… Tutta un’altra storia, o sempre la stessa?
Romanzo rosso ha la stessa caratura de La meglio gioventù, della cui produzione (scopriamo su Wikipedia) Pino Corrias si è occupato come capostruttura Rai Fiction.
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