
Goodbye Hotel di Michael Bible è romanzo di grande potenza visionaria. Incendiario. Da una parte, giovani smarriti a caccia di sogni artificiali nell’abisso di solitudini dell’America profonda. Dall’altra Lazarus, una tartaruga dai poteri chiaroveggenti, solida di stazza e d’età, ultracentenaria, «rotonda come la ruota di un’auto e alta come un bambino di due anni».
Saggia, curiosa, paziente. Simpatica, socievole.
Lazarus compare un giorno ad Harmony, North Carolina, insieme ad un tipo vestito con un completo di seersucker. Ogni pomeriggio Seersucker si piazza su una panchina, scrive a terra con un gessetto «Fate una domanda a Lazarus» e traccia a fianco due caselle, una per il sì, l’altra per il no. Forse è muto, perché non dice una parola. «Quando gli facevano una domanda, Lazarus si spostava sul sì o sul no. Domani nevica? I Panthers lo recupereranno il distacco? Troverò mai il vero amore? Le risposte erano perlopiù esatte.» Foto, articolo sul giornale locale, Lazarus e Seersucker diventano parte del folklore locale.
Tempo dopo Eleanor, in vacanza a New York con la famiglia, in un negozio di animali esotici sulla Quattordicesima Strada, vede una tartarughina, «piccola quanto un dollaro d’argento», le piace, la compra, la mette in tasca e la porta con sé. La chiama Little Lazarus come il Lazarus grande che qualche mese prima era arrivato in città con il Seersucker. A casa la ripone in una scatola di scarpe e ogni sera le dà da mangiare pezzetti di cactus, poi se la fa camminare sulla pancia.
- Chiariamo. Il seersucker è un tessuto di cotone fine, di solito a righe. È utilizzato per abiti estivi. Ha un aspetto stropicciato. Non si stira. Il nome deriva dai termini hindi, urdu e persiano shir e shakar, che significano latte e zucchero. Seersucker con la maiuscola, nell’invenzione narrativa di Bible, è una sorta di setta filantropica che usa il tessuto omonimo come una divisa e che da un adepto all’altro si passa l’abito e il compito di accompagnare e accudire Lazarus.
Non vi diciamo come, ma una notte – «uguale a un milione di altre notti» – Eleanor incrocia sulla sua strada il Lazarus grande e il Seersucker. Una catastrofe biblica. Una versione pop con i colori acidi di David Lynch della cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre. La fine dell’innocenza. Il diavolo tentatore è il salto della collina, una sorta di roulette russa con la macchina ad alta velocità. Con Eleanor c’è Francois, al volante. Il romanzo è la versione dei due ragazzi e dei due Lazarus di ciò che è stato delle loro vite nei venticinque anni dopo quella notte.
Goodbye Hotel comincia con un’Ouverture, un time-lapse o video accelerato cosmico dalla creazione ad oggi: non un virtuosismo fine a se stesso, ma la premessa di una magia narrativa. Queste le prime righe: «Immaginate il passato. Il rombo di tuono con cui comincia ogni cosa e tutto il dolore e la poesia che ne seguono. Lo spazio si espande, acquista velocità fino a produrre un eccesso di tempo e di spazio». Attenzione ora: «Tanto di quel tempo e tanto di quello spazio che tutte le cose possibili cominciano a esistere contemporaneamente. Ogni scelta, ogni possibile possibilità. Tutto il caos e tutto l’ordine».
Bible racconta in maniera credibile, tanto appassionante da inchiodarti alla pagina, l‘assoluta indeterminazione dell’essere. Le quattro sezioni dopo l’Ouverture con i racconti in prima persona dei protagonisti sono schegge di una verità esplosa: impossibili da connettere nella geometria pacificata di un puzzle, perfino in contraddizione fra loro, eppure inoppugnabili, ognuna fiera della propria irriducibile identità.
- Il primo racconto è «una specie di testamento» dall’immaginario Goodbye Hotel del titolo, sperduto alla fine del mondo, o di New York, è lo stesso, «per tanta gente l’ultimo domicilio». Vale anche per sé, scrive Francois che sente già le forze abbandonarlo. Fuori nevica, e lui racconterà la sua «versione dei fatti, solo un pezzetto di verità». Lo farà divagando, riportando male qualche dettaglio, inventandone altri finché il fuoco scalderà la stanza, finché ci sarà del vino in bottiglia.
Ricorda, Francois, i giorni di Harmony venticinque anni prima: «Già allora eravamo tormentati e impotenti. La nostra vita si consumava nei giardini delle case di genitori assenti, nell’acqua bassa delle piscine, su strade deserte dove guidavamo un po’ ubriachi. Eravamo destinati a perderci».
Attrazioni, amori e sesso degradati ad azioni fatidiche e inerziali, quasi svogliate e involontarie. Perlopiù dolorosi, insanabili equivoci. Il precipitato di questo vuoto è la sparizione di Eleanor la mattina in cui doveva partire con la madre per il collage. «Vado a prendere un tè freddo al minimarket», si avvia a piedi e non torna più. Inutile ogni ricerca.
- Noi, però, la ritroviamo nel capitolo del suo racconto. Poco importa se sapremo o meno cosa le è successo, se la sua verità collima con quella di Francois e degli altri. Goodbye Hotel non è un giallo, è narrativa quantistica di multiversi esistenziali, come da dichiarazione poetica iniziale. È continua proliferazione subatomica di personaggi e storie, irriducibili ad ogni assemblaggio.
Benché lungo e avventuroso, coinvolto in dinamiche umane di vario tipo, da un specie di santuario in un attico di duemila metri quadri a New York ad una spiaggia esotica a vagabondaggi solitari, il cammino di vita di Lazarus è fuori dalla mischia dei giorni. Nel carapace di Lazarus è l’impronta divina del nostro eterno bisogno di una dimensione altra, più giusta e libera se vuoi.
L’unicità di Michael Bible è universale, come accade ai grandi.
Michael Bible, Goodbye Hotel, Adelphi



