Ventisei anni fa, 1995. Un altro mondo. Ma quello nuovo Daniele Del Giudice l’aveva già visto e raccontato dieci anni prima. Non c’era ancora la rete e neppure i cellulari quando, del nuovo regno degli oggetti di luce, in Atlante occidentale faceva discutere fra loro uno scienziato e uno scrittore, entrambi come lui appassionati di volo. La smaterializzazione della conoscenza sollecitava un nuovo sentimento del nostro tempo. Quale che fosse, di amicizia o di opposizione. Trovare frasi e parole per le nuove forme dell’amore, del dolore e di tutti di colori primari dell’animo umano. Eternamente gli stessi, eppure sempre diversi. Queste, per Daniele Del Giudice, erano l’avventura, il fascino, la sfida della scrittura.

  • Ventisei anni fa, 1995. Daniele Del Giudice è in tour in Puglia. Il libro è Staccando l’ombra da terra. A Foggia facevamo cose, senza mezzi, sopperendo alle necessità con la sfacciataggine della giovinezza e dosi massicce di intelligenza e creatività. Non eravamo un gruppo, ma ci conoscevamo bene e sapevamo serrare le fila quando occorreva. Se ne avevamo voglia. Ogni volta ci s’inventava una cordata. In quell’occasione lavorammo insieme davvero in tanti. Sapevamo chi avremmo ospitato. Volevamo una bella serata. Fu magica.

La organizzammo al Bellamì, che quegli anni lì era un covo caldo di arte, musica e parole guizzanti fra teatro e letteratura. Di fatto il centro di gravità di una nuova e prorompente vitalità. Certe volte, quando andando via dall’ultima rampa di scale ti affacciavi su piazza della Cattedrale, vedevi un brulichio di persone così fitto che non potevi non fermarti un attimo a respirarne l’energia.

Facemmo in modo che in ogni stanza del locale echeggiassero suggestioni del libro. Una realtà aumentata. Un tour multimediale. Quella sera le parole di Daniele Del Giudice volarono nelle stanze del Bellamì fra ambientazioni e installazioni di Nino Cibelli, Maria Cirillo e Piero Roca, recitativi di Lorenzo Paoletta e Antonio Ricci, immagini di un videocollage di Enzo Verrengia e musiche di Pino De Costanzo. Ad arricchire di storie nostre la passione per il volo dell’autore, il dott. Marzano dell’aeroclub “Vito Petruzzelli”.

  • Ricordando quella serata mi muovo a tentoni come in una stanza buia. Tocco cose, le riconosco, le chiamo per nome. Vorrei raccontarle nella loro pienezza di vita, ma occorrerebbe che una luce le illuminasse. Sotto gli occhi, invece, ho solo il manifesto che stampammo. Bellissimo, la copertina del libro. Ne avemmo cento copie dalla casa editrice. Ci aggiungemmo i nomi necessari calibrando attentamente posizione, caratteri e colori. Oltre che per la comunicazione, determinante il contributo anche economico del settimanale Protagonisti di Piero Paciello, voce nuova e sensibile ai fermenti culturali della città. Insieme a loro, e grazie a loro, anche Teleblu e Banca popolare dauna.

Sono sempre stato refrattario a fissare certe situazioni e momenti in foto, firme, dediche. Oggi me ne pento. Quel manifesto, però, mi piaceva davvero. La mattina dopo chiesi a Daniele di firmarne una copia. Eravamo nella hall del Cicolella. Gli dissi: Così diventa prezioso. Mi pentii delle mie parole. Pensai che potesse equivocare circa le mie intenzioni. Invece mi guardò con negli occhi una luce vivida di gentilezza e affetto. Lo rivedo ancora, leggermente ricurvo mentre firma il manifesto poggiato sul bancone della portineria.

Il giorno precedente lo avevo raggiunto a Bari. Aveva un impegno all’università, primo appuntamento del tour pugliese. Era accompagnato da Livio Muci, ispettore Einaudi per la Puglia ed editore della Argo di Lecce. Ci vedemmo nella libreria e casa editrice Palomar di Gianfranco Cosma. Come mi aveva preannunciato, Livio aveva con sé le prime copie del mio libro appena pubblicato da Argo. Me ne diede una, una la diede anche a Daniele, al quale era dedicato un capitolo di Parola d’autore, interviste e recensioni di narrativa italiana contemporanea. Il suo fu il primo augurio. La mia, la prima dedica. Guardando l’indice, poi mi disse: Fra i tanti sai chi sento più vicino? Tondelli. Aveva il gusto dell’avventura e del gioco, come me. Argomentò ancora, parlando del dinamismo, della simpatia e della schiettezza fanciullesca di Pier Vittorio Tondelli. Poi facemmo l’intervista per La Gazzetta.

Dopo, mentre andavamo all’università, in un piccolo negozio vicino alla libreria, Daniele vide in vetrina una lampada in forma di aereo con un neon come fusoliera. Più che un oggetto, una scultura. Ne fu folgorato. Entrammo. Chiedemmo. Tre intensità di luce. Si accendeva sfiorandolo. Non c’era tempo. Era già tardi. La scatola sarebbe stato d’impaccio. Chiedemmo di tenerlo da parte. Saremmo ripassati. Mentre all’università era in corso l’incontro, Gianfranco Cosma ed io tornammo in quel negozio: lui comprò la lampada per Daniele, io per me.

Un volo con Daniele quella volta lì ci sarebbe dovuto essere per davvero, ma non ci fu. Dopo Bari e Foggia, l’ultima tappa fu a Lecce, nella libreria Argo, della stessa casa editrice. Oltre all’incontro, con un amico, pilota provetto, Valeria Lucatello, responsabile della libreria, aveva organizzato un volo in elicottero fino ai cieli dell’Albania. Daniele ne era entusiasta. Invece all’ultimo momento il volo saltò, per questioni burocratiche. Non se la prese, e chiacchierò a lungo con il pilota.

  • La mia lampada, invece, è sempre al suo posto, pronta per il volo. Quando la sfioro e s’accende, illumina il buio come una magia. Certe volte lo faccio per gioco, quasi fosse una carezza a una persona e quella sua luce un invito: dai, stacchiamo l’ombra da terra. Ciao Daniele, e grazie.

Daniele Del Giudice (Roma, 11 luglio 1949 – Venezia, 2 settembre 2021)

Daniele Del Giudice, Staccando l’ombra da terra, Einaudi, 1995