Un romanzo, ogni romanzo, è un mondo e, quindi, tante cose insieme, per non dire infinite cose e per di più tutte complesse, come la realtà, anche la più banale. «Questa storia è anche, e innanzitutto, una storia d’amore.» Ha ragione l’autrice, Valentina Mira: anche e innanzitutto, ma non soltanto.

Dalla stessa parte mi troverai è anche un romanzo politico, e di lotta. Antifascista. Ma non soltanto… e con i non soltanto potremmo continuare per un bel po’.

  • Per esempio, Dalla stessa parte mi troverai è anche documentazione storica, della serie controinformazione, oltre tutto su una vicenda molto nota ma solo in parte. Ed è anche acuta analisi psicologica dei meccanismi della colpa, e poi messa in discussione e ricerca di se stessi da parte di chi racconta. Oppure, semplicemente – perché in fin dei conti, all’origine, le intenzioni di un atto creativo sono molto semplici e perlopiù sempre le stesse, all’origine… poi bisogna trovare parole e ritmo, quella è la sfida – Dalla stessa parte mi troverai è un meritorio atto di giustizia e d’amore verso una vittima finora, colpevolmente, ignorata. E verso i suoi cari.

Roma. 7 gennaio 1978. Acca Larentia. Un commando di cinque persone (mai identificate, di sedicenti Nuclei armati per il contropotere territoriale) spara contro un gruppo di giovani che esce da una sezione del Movimento Sociale Italiano del quartiere Appio Latino. Muoiono due ragazzi. Poco dopo parte una manifestazione, seguono scontri con le forze dell’ordine, ne muore un altro. Tre vittime innocenti dei cosiddetti anni di piombo. Ma non le sole di quella serata di sangue.

Da allora ogni anno il giorno di quell’omicidio la destra romana in tutte le sue varie declinazioni si ritrova nel luogo dell’attentato e commemora i propri caduti con corona di fiori e saluto fascista. Un rituale. Dalla stessa parte mi troverai è l’altro versante di questa storia. Ugualmente tragico.

  • Arrestato all’alba del giorno prima con l’accusa di omicidio per i fatti di Acca Larentia, trasportato dal carcere di Regina Coeli, venerdì 1° maggio 1987 muore nel vicino ospedale Santo Spirito l’infermiere ventisettenne Mario Scrocca, da sempre militante della sinistra radicale, prima politica poi sindacale. Suicidio, questa la verità giudiziaria.

I meccanismi psicologici di certe scelte estreme sono imponderabili ma davvero ci si ammazza in un giorno, sapendo peraltro di essere innocenti? Le accuse contro Mario Scrocca sono cadute subito e probabilmente dopo l’interrogatorio del lunedì sarebbe stato scarcerato. Curiosa anche la modalità del suicidio, avvenuto in una cella anti impiccagione lasciandosi andare con i piedi nel water. Questi i fatti.

Il romanzo. Praticamente lo leggiamo insieme, un mio amico ed io, entrambi incuriositi dall’anatema politico-ideologico del Minculpop di destra, on. Mollicone e dintorni: «… oltre ad una forma sciatta e affatto indimenticabile, non è certo all’altezza di un premio così prestigioso (ndr, il premio Strega). Sembra squallido marketing politico-letterario». Più che altro a noi pare acrobatico il suo uso dell’avverbio affatto, ma onore all’onorevole e veniamo al dunque.

All’inizio concordiamo, il mio amico ed io. La storia d’amore prende entrambi. Ci scambiamo messaggi di questo tipo. Io: A parte il fatto che sono fuori, in realtà mi sono fermato anche perché ormai certe storie mi straziano un po’ troppo… e immagino che questa sia una di quelle. Lui: A un certo punto mi sono trovato con gli occhi umidi. Io: Appunto.

Continuo a leggere, naturalmente. Mario Scrocca e Rossella Scarponi si incontrano per la prima volta il 14 febbraio 1978, San Valentino. Lei è della Garbatella (Roma sud) e studia in una scuola del centro, in via Ripetta. Suo padre è molto severo ed ha per lei aspirazioni borghesi di promozione sociale. Quel pomeriggio, però, con l’incanto e la vitalità della sua adolescenza (e il sostegno di uno zio) Rossella riesce a strappargli il permesso di andare a studiare da un’amica a Tor Pignattara, estrema periferia: Va bene, ma mi raccomando. In realtà le due ragazze vanno ad un’assemblea alle case occupate, e lì succede.

Lei è bellissima. È bionda e ha occhi celesti. Lui ha «uno sguardo sveglio, di quelli che ti si arpionano addosso, e ti fanno sentire vista-non guardata, di quelli che se i tuoi occhi fossero ciliegie, io non ci troverei nulla da dire – e non c’è niente da capire» (e questo è di nuovo De Gregori, come nel titolo). Sta di fatto che Rossella dopo un po’ pensa: io quello me lo sposo. E così sarà. Amore a prima vista. Bidirezionale. Il massimo. Poi quasi dieci anni insieme. Di lotta e felicità. Una casa. Un figlio. Un futuro che sembra aver trovato la via giusta di una certa tranquillità economica. Infine il primo maggio 1987 la mannaia. Quindi per Rossella oltre al dolore l’umiliazione di dover rinunciare al ricorso contro la sentenza di primo grado per via dei soldi.

Dopo questo passaggio del romanzo il mio amico ed io maturiamo opinioni diverse. Ci sentiamo al telefono. Lui è molto netto. Mi dice: Mira nella seconda parte diventa faziosa. Vorrebbe riportare l’orologio della storia indietro di cinquant’anni. Io non la penso così. Per me il romanzo doveva avere un respiro politico. La storia d’amore finisce presto per forza di cose. Rossella e Marco non hanno avuto modo di invecchiare insieme.

Forte e sincera è, inoltre, l’invasione di campo dell’autrice che si interroga e mette in gioco per una sua giovanile storia sentimentale con un militante fascista. È sempre utile e interessante indagare i meccanismi psicologici dell’attrazione per certi modelli maschili – come, per esempio, nel caso estremo de L’odore del sangue di Goffredo Parise, poi ripreso da Andrea Tarabbia ne Il continente bianco. Il fascismo è una costruzione dal basso, prima che un’imposizione dall’alto dei poteri forti.

  • Infine per me in ogni storia c’è sempre un’interpretazione dei fatti. Esplicita o tacita che sia. Quando la presa di posizione è netta e l’autore si espone, come coraggiosamente fa Valentina Mira, allora ancor di più decide il linguaggio: o è adeguato o tutto frana in propaganda. Veniamo allora al linguaggio, quello che non è piaciuto affatto all’onorevole dell’avverbio acrobatico… o, invece, gli è piaciuto tanto che per lui la forma è «affatto indimenticabile», ovvero: assolutamente indimenticabile… Boh.

Senza farla lunga, il linguaggio ha vivacità di registri e guizzi e vezzi irriverenti e sfrontati. Nell’insieme, freschezza e determinazione. Una base solida per quella nettezza di schieramento che connota il romanzo sin dal titolo. Premio o non premio, dalla parte della letteratura Valentina Mira la troverai.

Valentina Mira, Dalla stessa parte mi troverai, SEM

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