Ogni dolore ha un nome. Da giorni il mio ha nome Kupjansk.

Kupjansk, oblast’ di Charkiv, Ucraina orientale. Kupjansk martoriata dalla guerra. Città fantasma, da trentamila abitanti a tremila. Occupata dai russi all’inizio dell’invasione, liberata dalle forze armate ucraine qualche mese dopo, dal 20 novembre scorso di nuovo in mano ai russi. Tanti, di recente, i servizi televisivi con inquadrature molto crude degli scontri fra le macerie della città. Spari ripetuti e secchi come schiocchi di frusta. Uno strazio. Da anni per me Kupjansk era bandiera di pace. Precisamente dal 1987, e cioè dalla pubblicazione del romanzo di Mario Spinella Lettera da Kupjansk.

Del suo romanzo, in un’intervista, Mario Spinella mi disse: «Nel mio libro ci sono due istanze etiche fondamentali. La prima è un’istanza pacifista. Il libro è contro la guerra. Contro i disastri della guerra. Non tanto i disastri materiali quanto quelli psicologici. La guerra è distruzione. Distruzione anche dell’uomo. La seconda è forse più sottile ed è costituita dal senso della comunità culturale europea. Il fatto che a Kupjansk (in una situazione di guerra aspra, terribile) un intellettuale tedesco, un intellettuale italiano, delle ragazze colte russe e tedesche si incontrino umanamente al di là della guerra sta a significare che c’è qualche cosa di profondamente comune tra di loro e che non c’è niente di più assurdo per degli europei che trovarsi schierati gli uni contro gli altri e spararsi addosso pur avendo tutti la stessa radice, la stessa matrice». Tutti: tedeschi, italiani e russi, formato extra large.

Lettera da Kupjansk è romanzo e, dunque, opera d’invenzione con tutta la ricchezza corale e il ritmo di vicende personali incrociate ma è anche romanzo storico che con rigore di fatti e profondità di analisi fa giustizia di tutte quelle incrostazioni retoriche di cui ogni guerra si nutre e che ogni guerra a sua volta alimenta: e proprio grazie a questo nitore il romanzo «sfiora l’epica», come scrisse Maria Corti. Lettera da Kupjansk, però, è anche cronaca ed autobiografia perché Mario Spinella la campagna di Russia l’ha fatta davvero e se l’è portata «dentro» per quarant’anni. Poi, come un attore con il Metodo Stanislavskij, si è immedesimato nel sergente Trímbali e l’ha raccontata.

Spinella e Trímbali, autore e protagonista del romanzo, nascono entrambi «per caso» a Varese ma vivono «sino ai diciotto anni nel Sud… sul mare, Catona, un paesino piccolissimo sullo stretto, poi a Messina». Di sé, però, nel corso dell’intervista Mario Spinella disse: «La realtà è che non sono stato né lombardo, né meridionale e mi ha sempre accompagnato un certo senso di non appartenenza reale ad alcun luogo».

Né lombardo né meridionale ma intellettuale e, come Trímbali, studi di filosofia alla Normale di Pisa e insegnamento ad Heidelberg. Ma qual è la particolarità di un intellettuale? «Non vorrei generalizzare – rispose Spinella. – Quel che dico vale per i personaggi del romanzo. Dentro il romanzo la particolarità consiste nel fatto che l’intellettuale, proprio perché abituato a vivere in un mondo in gran parte di idee e di carta, è distaccato dalla realtà; non la vive in modo pieno, totale, partecipante. La guarda. La vive e la guarda insieme. E questo produce un tipo di comportamento diverso da quello di chi si dà tutto al reale.»

Stop all’università e agli studi con il richiamo alle armi e l’invio al fronte russo: «Proprio lì, a Kupjansk, in tutta la zona, i Tedeschi stavano per essere sostituiti dagli Italiani… Che degli Italiani [i Tedeschi] non si fidassero era palese; ma [erano in difficoltà e] non potevano farne a meno… Con gli Italiani le cose… sarebbero andate meglio. Nemici, certo, come i Tedeschi ma… meno organizzati, meno efficienti… meno crudeli, fanatici, disumani. Fascisti, certo… ma… stragi vere e proprie, omicidi in massa non ne avevano fatti. Forse in Abissinia, è vero: ma non in Jugoslavia, non a casa propria con gli ebrei…».

A Kupjansk, Trímbali ci arriva da sergente, anziché da ufficiale (in quanto laureato), causa antifascismo e propaganda disfattista. Quasi «una burla» perché, prima del declassamento punitivo, aveva chiesto di fare la guerra da soldato semplice («di fatto non voleva comandare proprio per niente») ma era stato rispedito a pedate al corso allievi ufficiali.

  • Spinella era il ritratto della mitezza. Minuto, spalle incurvate, capelli argentati e occhi grandi e chiari di persona buona. Per l’intervista ci trattenemmo nell’intimità della cucina che aveva ancora il calore del pasto. Familiarizzammo. Gli dissi che vivevo a Varese, sorrise sorpreso e con sincero slancio e pudore mi chiese la cortesia di portare alla sorella, residente a Varese, la prima copia del libro di poesie che le era stato appena pubblicato («C’è tanta delicatezza di sentimenti, in questi versi»). Non appena gli dissi che l’avrei fatto volentieri, con entusiasmo fanciullesco volle subito telefonare alla sorella per sorprenderla comunicandole che avrebbe avuto il suo libro quella sera stessa.

Osservandolo, durante il nostro incontro, pensavo a tutte le battaglie che avevano temprato quella suadente gentilezza dei modi. Certa forza tranquilla è una conquista, un punto di arrivo nient’affatto scontato. Non c’entra l’età, ma la consapevolezza di sé. Mario Spinella aveva vissuto pienamente il proprio talento.

  • Dopo la disfatta dell’ARMIR, rientrato in Italia, era stato partigiano in Toscana e aveva partecipato alla liberazione di Firenze (come racconta in Memoria della Resistenza), direttore della radio partigiana di quella città, segretario di Togliatti, poi dirigente della scuola di formazione del Pci, approdato a Milano nel 1957, si era via via allontanato dalla politica per dedicarsi allo studio e alla scrittura. Al tempo del romanzo collaborava con il Piccolo Hans e varie altre testate; scriveva di psicanalisi, poesia e filosofia; nel ’79 con Maria Corti, Umberto Eco ed altri aveva fondato Alfabeta, rivista letteraria di antagonismo culturale.

Oltre all’esperienza di guerra, in Lettera da Kupjansk Mario Spinella aveva messo in campo tutte le sue numerose e raffinate competenze di critico inventando una struttura narrativa del tutto nuova: «Io non credo – disse – che la letteratura e l’arte in genere siano imitazioni e riproduzioni del reale e perciò ho introdotto tra le pagine del romanzo la figura in prima persona del narratore. Il quale, di tanto in tanto, a cominciare dalle prime righe, interviene a spiegare, illustrare, in un certo qual modo, il procedere del suo lavoro di ricostruzione e di invenzione di eventi e così ricorda al lettore che non sta leggendo delle cose reali accadute ma delle cose che sono nella mente di colui che si chiama il narratore».

In Lettera da Kupjansk il narratore è parte integrante della storia e ha la stessa vitalità e complessità di accadimenti e vicende sentimentali di tutti gli altri personaggi della nobile brigata di giovani variamente coinvolti nella guerra e che infine cercano insieme di salvare la propria umanità da quella peste. Kupjansk di Spinella è su una collina con vista Firenze.

Lettera da Kupjansk è stato pubblicato 1987, l’Unione Sovietica era agli sgoccioli, chissà se forzando o meno la questione, di fatto la domanda gliela posi così: Per un comunista come lei, la lotta di classe è ancora il problema centrale? Nelle parole di Mario Spinella ancora una volta spiragli di futuro: «Io ricordo sempre l’affermazione di Adorno, secondo cui dopo Auschwitz non è più possibile filosofare. La seconda guerra mondiale ha significato una messa in crisi durissima di tutta la cultura europea. D’altro canto, proprio perché questa cultura è stata messa in crisi, sorge il bisogno di un’unità europea. Come una medaglia con il suo rovescio: una messa in crisi profonda può far scaturire l’immagine di un’Europa diversa, unita. La lotta di classe esiste ed esisterà sempre finché ci saranno le classi ma non è più il problema centrale anche per una coscienza socialista o comunista come la mia. Il problema centrale oggi è la pace».

Mio figlio è nato nell’88, l’anno successivo è caduto il muro di Berlino. Nel suo Romanzo rosso della gente a Berlino impazzita di felicità quella notte del 9 novembre, Pino Corrias scrive che «scandiva il nuovo tempo un istante alla volta affinché lo smantellamento del Muro potesse procedere il più in fretta possibile e insieme durare più a lungo, come accade di pensare ai bambini la notte di Natale, come accade agli innamorati la prima volta, come accade ai fuochi di artificio quando si alzano in volo e restano lassù, nella loro luce, che vorresti per sempre».

Con in cuore la bandiera di pace della Lettera da Kupjansk, credevo anch’io come tanti che fossimo alla fine dei giochi, che il secolo breve si stesse portando via la Storia e tutto quel che segue. Pensavo che mio figlio sarebbe vissuto in un mondo senza guerre. E invece. Chi quella notte aveva vinto si illuse di poter prendere tutto e cominciò un’altra guerra. Mondiale. A pezzi. Con la nascita dell’Europa abbiamo ereditato una speranza di pace. Andremo via lasciando un mondo in fiamme.

Mario Spinella, Lettera da Kupjansk, 1987, Mondadori

Mario Spinella, Lettera da Kupjansk, nuova edizione 2020, editore thedotcompany

https://www.ilmondonuovo.club/faccia-a-faccia-mario-spinella-lettera-da-kupjansk/