Oggi, 12 agosto, è il suo compleanno. Avrebbe compiuto cinquantanove anni, sessanta secondo Wikipedia, ma poco importa: il suo tempo s’è fermato il 20 dicembre 2018. Il primo… tempo. Il secondo è appena cominciato. Il secondo tempo di ogni scrittore è la vita attraverso le opere. Andrea G. Pinketts ora vive nei suoi romanzi che, ne siamo sicuri, continueranno a lungo a essere letti e a dare piacere: anche più di ieri e di oggi. La letteratura è un mondo particolare, fuori sincrono, perciò prodigo di sorprese, e tra queste prima o poi ci sarà un rilancio e un nuovo largo successo dei tanti romanzi di Andrea G. Pinketts.
Il duro del Giambellino tornerà ad incantare con quel senso della frase che giustamente rivendicava come propria identità letteraria: «Non so sciare, non so giocare a tennis, nuoto così così, ma ho il senso della frase». Che, sintetizzando, significava saccheggiare l’area semantica delle parole per esplicitarne le potenzialità logiche alla ricerca di un contatto nuovo ed efficace con il reale. La lingua, insomma, come strumento di indagine e conoscenza scovando nella pluralità dei significati di un vocabolo accostamenti originali, riciclando in sapidi calembour gli scarti della quotidianità mediatica e frullando poi ogni cosa nella costruzione della trama. Nelle sue frasi c’era la vita in azione. Le improvvisazioni linguistiche di Andrea G. Pinketts non sono mai state aridi virtuosismi perché la sua scrittura aveva il metronomo del giallo che ne scandiva i tempi: gialli sonori, per la squillante espressività che ritma l’azione. Non a caso ha vinto la prima edizione del premio Scerbanenco e tre volte il Mystfest per il miglior racconto.
- Il senso della frase è anche il titolo del suo terzo romanzo, protagonista come già dei primi due (e poi di un altro ancora) quel Lazzaro Santandrea molto simile a lui. Lazzaro Santandrea, milanese, trentenne, è un irregolare. Un personaggio-incrocio. Il suo curriculum, infatti, segnala che, dopo gli studi liceali, è stato, di volta in volta, «intervistatore di vallette tivù… scrittore di tesi di laurea altrui, istruttore di arti marziali, cantante di voce roca e poca… estremista, innamorato, proprietario di un locale notturno fallito… fotomodello, ereditiero agli sgoccioli, scrittore underground, cacciatore di taglie e di dote». E infine, senza elencare tutto il resto, «detective privato… di licenza mai avuta». Insomma, un vero e proprio «cow-boy metropolitano». Il suo autore, del resto, vantava origini texane e di essere cresciuto sulle gambe di John Wayne fra indiani e praterie: certo è che le parole le sbrigliava sulla pagina come in un rodeo ed esse si sfrenavano, si inseguivano, si scontravano, si sovrapponevano e lui le riacciuffava e le domava una per una con corrispondenze, rovesciamenti e mille altre acrobazie, tenendo così in scalpitante tensione il linguaggio dall’inizio alla fine.
Milano era la sua prateria. L’ultima volta che ci siamo visti, un bel po’ di anni fa, era una torrida domenica d’inizio estate. Era partito a mezzogiorno da via Washington, al margine di Brera, e fino alle quattro del pomeriggio in perfetta solitudine aveva camminato per le strade di periferia della Barona e Famagosta, aveva percorso la circonvallazione, poi era rientrato a casa e dopo una doccia aveva raggiunto corso Garibaldi dove si era seduto a tavolino nel suomitico bar-covo-ufficio (Le Trottoir) ed aveva cominciato a tradurre. Intorno alle venti, dopo tante birre e sigari e altrettanto sudore, quando noi lo abbiamo raggiunto, aveva appena finito di lavorare ad un racconto di Ed McBain: in realtà l’eco del testo gli suggeriva ancora guizzi espressivi vari che rimbalzavano beffardi nella nostra conversazione tra ricordi e risate. E pensieri, come questo: è bello quando vedi in azione la vita che leggi e senti nella scrittura, e ti accorgi che tra l’una e l’altra non ci sono confini perché ciascuna continuamente reinventa l’altra. In un gioco infinito di reciproche contaminazioni.
- Non erano mai solo parole, quelle di Andrea G. Pinketts. Scanzonate e leggere, tra noir, grottesco e tanti altri generi, esse racchiudono nella propria acuminata precisione una grande densità morale e letteraria. Nel loro fluido estremismo c’è sempre una battaglia netta e chiara tra bene e male, dramma e umorismo. C’è la verità al quadrato di un limpido e generoso sogno adolescenziale di giustizia, coraggio, avventura, affetto e amore che grazie all’arte resiste al tempo e conferisce eterna giovinezza alle pagine e alla persona.
E allora, auguri, duro che avevi un cuore di meringa (Fernanda Pivano): ti diano questo giorno e tutti gli altri la stessa dolcezza che hai saputo dare tu a chiunque ti abbia conosciuto o letto e che ancora darai a chi leggendoti ti conoscerà. Lo sapevi, ed è così: sei un classico, un classico di domani.
Andrea G. Pinketts, pseudonimo di Andrea Giovanni Rodolfo Pinchetti (Milano, 12 agosto 1960 – Milano, 20 dicembre 2018)