Pagina sessantatré, la citazione si riferisce a una specifica situazione narrativa, ma per noi Se vuoi vivere felice di Fortunato Cerlino è nato proprio così: come «una forza naturale che trattenuta troppo a lungo prima o poi trova una via di fuga». Diciamo questo non tanto perché – come lo stesso autore dichiara – le storie che il romanzo racconta erano nella pentola a pressione di appunti infantili sin dal 1981: più che il tempo, infatti, è stata la loro straordinaria e sofferta ricchezza umana a portare quelle pagine al punto di ebollizione creativa. Fortunato Cerlino, attore, nella serie Gomorra interpreta il boss don Pietro Savastano. Nel romanzo di cui è autore, è anche protagonista e narratore.
- Se vuoi vivere felice è, dunque, un romanzo autobiografico. Sembra una contraddizione. È invece una delle più liete sorprese di questa stagione letteraria. Al di là dagli aggiustamenti narrativi che inevitabilmente la scelta di un punto di vista determina, l’impianto di verità personale dei fatti raccontati assume valore universale di romanzo grazie alla qualità espressiva della scrittura. Fortunato Cerlino usa il combinato disposto d’italiano e napoletano in modo dirompente. L’una e l’altra lingua per lui pari sono, ciascuna designa un mondo e dei momenti, entrambe procedono fiere della propria pugnace autorevolezza.
Se vuoi vivere felice ti diverte ma t’apre il cuore a profonda e sincera commozione con la storia del piccolo ‘strologo, il saputello presuntuoso che vuole di più. Siamo nei primi anni ottanta. Fortunato è alla fine delle elementari. Ha talento, curiosità, ambizioni. È il secondo di quattro fratelli, un quinto figlio è in arrivo. La famiglia riesce a stento a garantire la sussistenza. Chi è nato tondo nun può murí quadrato, le tue origini sono il tuo destino, è la maledizione che rimbomba nella testa del ragazzino. La povertà è un virus che fiacca la volontà e intacca la dignità. Se vuoi vivere felice è la storia di un ragazzino che trova nei libri e nella cultura la forza per inseguire i propri sogni, lontano dalla povertà e dalla violenza del far west di Pianura, periferia di Napoli.
Pagine 184-185. Il piccolo Fortunato è in treno con il padre: «Un contadino in un treno non ci sa stare. Si sforza di mostrare una certa dimestichezza, ma è nervoso». Sul vagone sale un uomo ben vestito; ha giacca, cravatta, valigetta e iniziali sulla camicia. Il padre istintivamente fa per alzarsi e cedergli il posto. Poi si trattiene, ma il figlio nota il movimento, e anche altro: «In una mano tiene bene in vista i biglietti per il viaggio, come per dimostrare, a chi lo dubitasse, che abbiamo pagato». Quando lavori in campagna, la terra ti s’infila dappertutto: «Una rapida ispezione sotto le unghie mi rassicura. Però sento lo stesso di avere la terra da qualche parte: forse nelle tasche, o tra i capelli». In realtà la terra è nell’anima perché quando è arata ha un odore così intenso che dalle narici arriva fino a lì e se ci vuoi correre affondi. Fortunato allora sogna di saltare, come un astronauta sulla luna, e all’amico che gli dice zappatore dà una capatatalmente forte da stenderlo al suolo: «’E zappatori teneno ‘a capa tosta, Lucarié!».
La povertà, i sogni, la cultura sono ingredienti privilegiati di retoriche brodaglie moralistiche. Se vuoi vivere felice è, invece, ‘na capata emotiva: un corpo a corpo fra letteratura e vita con la prima impegnata a chiudere il cerchio di un riscatto facendo di una vittoria personale una possibilità per tutti. Se vuoi vivere felice ti fa ridere e ti fa piangere ma, soprattutto, ti dà forza. Ti aiuta a credere in te stesso.
Fortunato Cerlino, Se vuoi vivere felice, Einaudi, 2018